Come ogni mattina Eva si siede al piccolo tavolino rotondo, sorseggiando il suo caffè. Dalla finestra della cucina il panorama non è certo incantevole come quello che si gode dal balcone della sala. La vista sul parco è uno dei motivi che hanno spinto lei ed Antonio a scegliere quell’appartamento. Il lato principale della casa è come proiettato nella natura e gli alberi sembrano entrare in casa con le loro fronde. La cucina, invece, si affaccia sul retro e mostra il tran tran quotidiano del palazzo di fronte, più signorile ed elegante del loro.
Ogni mattina Eva ama svegliarsi osservando l’alba dei suoi vicini: il piccolo paese brianzolo che in punta di piedi riemerge dalla notte con un crescendo di voci che squarciano il silenzio.
Bambini che gridano la loro rabbia contro la scuola che non li capisce e non li stupisce; madri che già perdono pazienza e affetto e sono in piedi da pochi minuti; padri silenziosi, già assenti, che pensano alla loro vita reale, 20 chilometri da lì, nella pulsante Milano e che freneticamente addentano un biscotto prima di scappare; cani che abbaiano con il guinzaglio in bocca elemosinando i loro 5 minuti di attenzione…Gli anziani invece iniziano la loro giornata con calma, come se avessero tutta una vita davanti e volessero spenderla assaporandone ogni istante, ma forse fanno così perché hanno imparato che, a quell’età, ogni istante rimasto è un prezioso tesoro da vivere.
Nel palazzo di fronte c’è una signora con candidi capelli corti, quasi maschili, che sembra apprezzare le sue stesse abitudini. Ogni mattina, sedute nelle loro cucine, incrociano i loro sguardi mentre in solitudine e silenzio bevono le loro tazze di caffè. Entrambe osservano dalla finestra quel mondo esterno del quale sembrano non voler far parte.

Eva e Antonio vivono lì da appena sei mesi, praticamente non conoscono nessuno e nessuno sembra ansioso di farsi conoscere. Non riescono a farsi degli amici in quel paese che si è rivelato essere un quartiere dormitorio, anche se di lusso. Grandi ed eleganti palazzi in cui vivono tantissime persone che snobbano le vite degli altri. Nessuno ricorda il cognome dei vicini di pianerottolo e ignora completamente i nomi degli abitanti degli altri piani. Nessuno entra rilassato in ascensore per la paura di non esser lì da solo e dover scambiare sguardi imbarazzati con gli altri condomini, che sono in realtà perfetti sconosciuti.
Per fortuna che non ci sono solo i palazzi e i loro scontrosi occupanti, ma c’è il grande Parco, forse un po’ abbandonato a se stesso, ma di certo rassicurante e accogliente, con la sua rigogliosa e avvolgente natura, che spesso ha il sopravvento sulle costruzioni abbandonate dalla negligenza dell’uomo.
Eva e Antonio hanno scelto di vivere lì proprio per stare a contatto con la natura, pur essendo non lontani dalla grande città da cui sono fuggiti.

Eva passa le giornate a casa, alla sua scrivania, nella speranza ormai remota di riuscire a scrivere il suo libro. Il suo secondo romanzo che stenta a prendere forma. Il blocco dello scrittore. Eva pensava che fosse solo una scusa di chi non riesce più a scrivere cose interessanti, ed invece è toccato anche a lei farne la conoscenza. Il primo libro era uscito di getto ed era stato un successo. Adesso nella sua testa non sembravano esserci parole e neppure idee. Avevano quindi deciso di fare dei cambiamenti. Trasferirsi in un posto più tranquillo e rilassante, lontano dal caos e la fretta di Milano, poteva sbloccare le cose. In sei mesi però non è successo molto e le pagine sono rimaste in bianco.
Antonio è uno sportivo. Gioca a basket nella squadra di Milano e finirà lì la sua carriera che lo ha visto giocare prima a Bologna e poi a Siena. Adesso che ha passato i 30 prende quello che viene e, abbandonata la maglia della Nazionale, ha deciso che continuerà a giocare finché le gambe reggono e poi chissà, magari proverà ad allenare.

La solitudine però inizia a dare i suoi frutti e quando Antonio è a Milano agli allenamenti o fuori città per le trasferte, lei passa ore a scrivere. Ha avuto l’ispirazione un mattino, bevendo il suo caffè. Attraverso la finestra ha notato qualcosa di diverso dal solito. La signora anziana del palazzo di fronte non siede più da sola in cucina. Con lei c’è un uomo, alto e massiccio, che le versa il caffè nella tazza e si siede con lei. Quei gesti hanno un qualcosa di familiare, di rassicurante e per la prima volta Eva si scopre a fissare quella scena, non con il solito compiaciuto distacco, ma con curiosità e aspettative. È come se volesse far parte di quel quadretto, come se sperasse di diventare così, invecchiando. Non riesce a vedere i tratti del viso della signora, né del presunto marito e quindi li inventa con la sua fantasia. Adesso l’uomo è presente ogni mattina e Eva aspetta con impazienza l’ora della colazione per spiare i loro gesti. Lenti, ripetitivi e gentili. Ogni giorno l’uomo accarezza la guancia della moglie e la bacia. Eva è rapita. Non fa altro che pensare a loro e un po’ alla volta l’idea prende piede. Il tavolino tondo della piccola cucina diventa la sua nuova scrivania e il suo portatile è lì, di fianco alla tazzina del caffè al mattino, ma anche al piatto di pasta del pranzo. Lo spettacolo ispiratore chiude però nel pomeriggio, con il tè delle cinque l’uomo abbassa le tapparelle e la scena si riapre alle sette del mattino.
Eva scrive. Scrive una storia su quei due anziani. Ha inventato i loro nomi, le loro vite passate e presenti e una trama ricca di emozioni. Lei si chiama Samanta, lui Alessio. Lei è una psicologa, lui un fotografo sportivo. Si sono conosciuti per caso ed era stato subito amore, nonostante le diversità culturali, religiose e di età. Lei è più vecchia di lui, viene dal Sud, odia feste e tradizioni familiari ed è atea; lui è più giovane, è del nord, ha una famiglia molto presente ed è cattolico. A loro non interessavano le differenze, erano completati da esse, ma le loro famiglie erano incompatibili e la loro storia era resa instabile da questo. Avevano vissuto insieme, ma poi la vita li aveva separati. Avevano continuato però ad amarsi, senza ammetterlo, finché ormai vecchi si sono ritrovati, di nuovo, per caso, e hanno deciso che le loro vite non avevano senso se stavano separati.

Eva ha fatto leggere le bozze del romanzo ad Antonio ed anche lui ha iniziato ad incuriosirsi. Lui però, più pratico della moglie, vorrebbe vederli da vicino, cercare indizi per capire se le descrizioni nate dalla mente fantasiosa di Eva trovavano riscontro nella realtà.
Una sera si è fermato a leggere i citofoni del palazzo di fronte, tentando di capire quali potevano essere riconducibili al quarto piano. Ma non ha fatto i conti con la moda della zona di mettere numeri e non nomi sui campanelli degli stabili con la portineria. Non contento di questo primo fallimento, tenta una nuova via: si fa amico il giovane portiere dello stabile. Mario è però riservatissimo sulle questioni lavorative e indirettamente non c’è modo di ricavare informazioni utili. Un giorno vede la signora seduta nel cortile del palazzo e decide di scendere giù per vederla da vicino, magari scambiarci due parole. Arrivato fuori però non trova più l’anziana.
Ogni tentativo sembra inutile e Antonio perde interesse, finché un giorno nella sala d’attesa del veterinario incontra il vecchio signore che sta uscendo dallo studio. L’uomo ha con se un bellissimo gatto grigio in un trasportino su cui è applicata una targhetta con scritto il nome Steve McQueen. Che strana coincidenza, pensa Antonio! Lui ed Eva avevano a lungo pensato di chiamare così il loro gatto dagli occhi azzurri, ma poi avevano optato per il nome Paul Newman.
C’è qualcosa di strano in quell’uomo. Uscendo ha sorriso alle persone in sala d’attesa, ma poi si è soffermato su Antonio e la bocca si è leggermente contorta come in uno spasmo, una smorfia. Forse l’ha riconosciuto, sa che lui è un ficcanaso. Forse è solo un caso. Però che strana sensazione. Eva è riuscita a rendere quell’uomo così familiare che adesso, trovandoselo di fronte, gli sembra una faccia conosciuta. É ancora un bell’uomo, nonostante l’età. Alto, abbronzato, con capelli bianchissimi e gli occhi scuri nascosti dietro una leggera montatura di occhiali da vista. Così alto e atletico da far pensare ad un giocatore di basket.

Anche Eva fa il suo incontro con la protagonista del suo libro. Sul marciapiede sotto casa capisce improvvisamente perché la signora fosse sempre seduta e non l’avesse mai vista in piedi camminare per casa. E’ lì, davanti a lei, sulla sedia a rotelle. Particolare reale che sconvolge Eva fino a farla tremare. Le manca l’aria e avvicinandosi alla signora non riesce a guardarla in faccia. Evita il suo sguardo, lo abbassa sulle sue mani, le osserva velocemente e tira dritto. Si scopre triste, delusa, come se avesse scherzato con la vita di una persona, per poi scoprirla reale e diversa. E si mette a piangere, come se quella sedia fosse la sua. Prova una strana compassione, come quando si scopre che un caro amico o un familiare ha un grosso problema e si vorrebbe far qualcosa per aiutarlo. Empatia. Strano, le hanno sempre detto tutti che lei non ne ha!
Il libro è finito, ma Eva è tentata di fermare il correttore di bozze e avvisare l’editore che butti via tutto. Non è più convinta del suo lavoro, ma ancora peggio non è convinta della moralità di ciò che ha fatto. È entrata, suo malgrado, nella vita di una donna, distorcendone la storia. Chissà se quella donna leggerà mai il suo libro, chissà se si potrà riconoscere nella protagonista del suo “La Finestra” e come potrebbe reagire.
Antonio però ha insistito con Eva perché andasse avanti con il libro, convincendola che non aveva fatto niente di sbagliato e che i personaggi erano di pura finzione e non riconoscibili.

Il libro viene pubblicato. Eva e Antonio ricevono uno scatolone con una ventina di copie nell’anniversario del loro trasloco in Brianza. Vivono lì da ormai 2 anni. E dal giorno della dolorosa scoperta sulla vicina, Eva non ha più alzato la tapparella della cucina e non ha più spiato le abitudini dei suoi vicini. Nonostante questo, l’angoscia resta palpabile e Antonio decide di mettere in vendita la casa e trasferirsi.
L’agente immobiliare dice ad Antonio che si occupa di un appartamento anche nello stabile di fronte, al quarto piano. Vi abitano due anziani che hanno deciso di trasferirsi al mare. “Per caso sono vostri parenti? Si chiamano anche loro Villa.”
Il cuore di Antonio batte all’impazzata, come se improvvisamente qualcuno avesse acceso la luce nella sua testa, svelandovi un mostro. Decide di affrontare il suo timore, pensando di aver visto troppi film dell’orrore per poter pensare quello che sta prendendo forma nella sua mente. Chiede all’agente di mostrargli l’appartamento, perché se è più grande del loro poteva farci un pensierino.
Vanno lì il giorno seguente. La coppia è in vacanza. Entrano nell’appartamento accolti da un familiare odore di vaniglia. La sala è piena di quadri con canotte da basket delle squadre in cui Antonio ha militato e su un mobile ci sono tante foto, foto del suo passato, del suo presente e del suo futuro. Il matrimonio con Eva, il primo scudetto vinto e le medaglie. Una libreria ospita nel ripiano centrale almeno 12 romanzi scritti da Eva, tra i quali “La Finestra” e “Milano corre” gli unici che ha scritto finora. Ci sono anche i premi vinti da quei libri sconosciuti. E ancora foto. Foto di due bambini mai visti, ma che sicuramente sarebbero stati i loro figli, tanto somigliavano a loro due. Poi i due bimbi diventati adolescenti e adulti e con altri bambini. É un sogno, un incubo. Antonio è proiettato nella sua vita futura. Quella casa è sua, lo sarà, ci vivrà in futuro, ci sta già vivendo. Com’è possibile? Deve esserci una spiegazione…Pensa agli scherzi cretini che fanno in televisione alla gente famosa, ma lui non è mai stato uno che fa vita mondana, né va in Tv come certi calciatori. E’ tutto vero. Lo sa, ne è certo. L’aveva capito vedendo quell’uomo dal veterinario. Riconoscendosi invecchiato. Allora inizia a girare nelle stanze per cercare altre prove della sua inquietante scoperta. Sullo scrittoio dello studio ci sono delle buste. La posta. Alcune lettere sono indirizzate ad Antonio Villa, altre sono per Eva Monti.

Non ci sono più dubbi. Quei due vecchietti con i capelli bianchi, a cui lui ed Eva si sono tanto affezionati, sono proprio loro, da vecchi. Ecco perché è nata la curiosità, quella morbosa attrazione. Senza capirlo si sono riconosciuti. Ma Antonio non capisce questo paradosso e si chiede se loro, da anziani, sanno di avere nella casa di fronte la loro vita passata. Loro sanno? E’ un delirio del quale non avrebbe fatto parola con Eva, ma deve sapere come sua moglie è finita sulla sedia a rotelle.
Alcuni giorni dopo, al ritorno dei due anziani, Antonio bussa alla loro porta. Si presenta come il signor Bianchi. Vuol vedere l’appartamento, ma l’agente gli ha dato buca. Lo fanno entrare comunque e gli mostrano la casa. E’ nervoso, ma i suoi ospiti non sembrano agitati quanto lui. Anzi, sono cordiali e simpatici. Lei gli offre un caffè e si siedono tutti in cucina. La vecchia Eva parla a lungo del suo incidente. Uno scontro in macchina avvenuto vent’anni prima. Stava andando a trovare degli amici a Milano e stranamente aveva deciso di andarci in macchina, mentre di solito si muoveva con treni e mezzi. E adesso, a 72 anni, anche la vista inizia a fare gli scherzi. Dice ridendo, con quel modo di ridere che tanto piace ad Antonio e che ritrova anche in questa strana versione di Eva, che forse ha passato troppo tempo a leggere e a scrivere e si è consumata gli occhi! Anche la vista di Antonio, ormai arrivato a 78 anni, non è più quella di una volta. Non vede bene i contorni e le facce per lui sono più o meno tutte uguali, fa pure fatica a riconoscere i suoi figli. Samanta e Alessio. I loro gemelli ormai quarantenni, sposati e pieni di figli, che vivono al mare e che loro raggiungeranno dopo aver venduto la casa. Non hanno sempre vissuto lì, in quella casa. Fino alla nascita dei gemelli vivevano nel palazzo di fronte, ma l’appartamento era piccolo per quattro. “Adesso lì ci vive una coppia giovane” dice la vecchia Eva “mi ricordano noi tanti anni fa. Non li conosco, li vedo solo da lontano, vedo soprattutto la moglie quando si muove in cucina. Mi fanno simpatia, perché noi abbiamo lasciato un po’ del nostro cuore in quella casa e spero che lì siano felici quanto lo siamo stati noi.”
Antonio è commosso e scosso al tempo stesso. Prende congedo da se stesso e dalla donna che amerà per tutta la vita, consapevole del fatto che loro in quel momento hanno incontrato solo una persona piacevole e niente più. Non sanno chi è realmente e non lo vedranno mai più. Antonio sorride e pensa che adesso dovrà impegnarsi per cercare di cambiare un po’ il loro futuro, per salvare Eva dall’incidente, senza però intaccare la felicità che il futuro ha in serbo per loro.

Ciò che Antonio non ha calcolato è l’impulso che ha spinto Eva ad alzare, dopo tanto tempo, la tapparella della cucina. Eva ha visto tutto. Quelle tre persone sedute nella cucina. Uno dei quali è Antonio, ma cosa fa lì? E poi, improvvisamente, capisce tutto. Vede i movimenti del suo compagno e li ritrova negli atteggiamenti posturali del vecchio. Li vede in piedi, uno di fronte all’altro e vede la stessa persona. E allora ricorda un dettaglio. Sul momento non ha colto, o forse lo ha fatto e la sua mente angosciata ha subito rimosso quel particolare irripetibile. Quando aveva incontrato l’anziana in carrozzina, aveva notato che la donna aveva un anello molto particolare. Argento invecchiato che replicava un intreccio di foglie sul quale era adagiata una enorme ambra di forma bombata. Un anello disegnato da sua madre per lei e che lei portava al dito da anni e che porterà per sempre.
Eva abbassa la tapparella e aspetta che Antonio torni a casa. Fingerà di non sapere.

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