11 maggio 2016. Un giorno importante per il nostro Paese. Sono felice perché richieste e diritti ignorati troppo a lungo finalmente hanno avuto l’attenzione che meritavano e, quel che più conta, una legge. Finalmente è stato approvato, in via definitiva, il testo di legge che regolamenta le Unioni Civili e disciplina la Convivenze di Fatto. Finalmente coppie eterosessuali e coppie omosessuali hanno gli stessi diritti. Finalmente siamo usciti dal Medioevo, anche se molti vorrebbero ritornarci velocemente, ma ne parleremo in seguito. Intanto brindiamo ed ubriachiamoci di diritti e di uguaglianza. Intanto tentiamo anche di capire cosa è successo, cosa cambia e cosa manca.

Prima di tutto c’è da tener presente che dopo l’approvazione definitiva la legge deve essere firmata dal Presidente del Consiglio e dal Presidente della Repubblica. Poi sarà promulgata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Questo l’iter completo per divenire una Legge dello Stato. Per la celebrazione effettiva delle prime unioni serve però uno step ulteriore: il Presidente del Consiglio dovrà adottare un decreto che darà ai sindaci le indicazioni e le istruzioni per la cerimonia. Tale decreto dovrà essere emanato entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge.
Entrando nel merito, la legge Cirinnà regola e definisce diritti e doveri di tutte le coppie che non si riconoscono (o non sono riconosciute) nello schema del matrimonio di stampo tradizionale e decidono comunque di costruire e progettare una vita insieme, che si tratti di Unioni Civili per coppie omosessuali o Convivenze di Fatto, regolamentate sia per le coppie eterosessuali che per le omosessuali.

Per quanto riguarda le Convivenze di Fatto la legge si rivolge a due persone maggiorenni che abbiano un legame affettivo stabile, coabitanti e senza vincoli di parentela. I conviventi hanno gli stessi diritti dei coniugi in caso di detenzione di uno dei due. In caso di malattia o di ricovero hanno il diritto reciproco di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali, con le stesse regole previste nel matrimonio e nell’Unione Civile. Ciascun convivente può designare l’altro come suo rappresentante per le decisioni in materia di salute in caso di malattia che comporta incapacità d’intendere e di volere. Nel caso di morte ciascun convivente può designare l’altro come suo rappresentante per quanto riguarda la donazione di organi, funerali e le modalità di trattamento del corpo. Questa designazione può avvenire attraverso uno scritto autografo o in forma verbale, davanti a un testimone. Nel caso di morte di uno dei due conviventi, il partner superstite ha il diritto di stare nell’abitazione di proprietà dell’altro per due anni, o per un periodo pari a quello della loro convivenza, comunque non oltre i cinque anni. Se nella casa di convivenza comune vivono i figli della coppia o i figli di uno dei due, il convivente può rimanere nella casa comune per almeno tre anni. E inoltre in caso di morte il partner superstite ha il diritto di succedere all’altro coniuge nel contratto d’affitto. Questo diritto si estingue in caso di una nuova convivenza con un’altra persona, o in caso di matrimonio o unione civile. I conviventi possono stipulare un contratto di convivenza, per regolare le questioni patrimoniali, con scrittura privata o con un atto registrato da un notaio o da un avvocato, che deve comunicare al registro anagrafico comunale l’atto. Il contratto di convivenza può contenere l’indicazione della residenza comune, le modalità di contribuzione alle necessità della vita comune, il regime patrimoniale della comunione dei beni. In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice può riconoscere a uno dei due conviventi il diritto agli alimenti per un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza, ma questa non dà diritto alla pensione di reversibilità.

Per quanto riguarda le Unioni Civili la legge prevede l’obbligo reciproco di assistenza morale e materiale e di contribuzione ai bisogni comuni in relazione alle proprie disponibilità. L’Unione viene contratta di fronte all’Ufficiale di Stato Civile e alla presenza di due testimoni. C’è la possibilità di assumere un cognome comune o di aggiungere il proprio a quello del partner. Vengono garantiti diritti analoghi a quelli che hanno i coniugi in un matrimonio tradizionale: dal diritto alla comunione dei beni a quello alla successione; dal diritto al mantenimento e agli alimenti in caso di scioglimento dell’unione, alla partecipazione agli utili dell’impresa familiare; dalla facoltà di ottenere la pensione di reversibilità al ricongiungimento familiare; dal beneficio delle visite penitenziarie al diritto a ricevere informazioni sullo stato di salute, in caso di malattia o ricovero, e a prendere decisioni sulle cure e sul post mortem (ad esempio per la donazione di organi e nell’organizzazione del rito funebre); dalla possibilità di ottenere gli assegni familiari a quella di accedere alle graduatorie per l’assegnazione di case popolari; dai diritti in materia di trattamenti pensionistici, assicurativi, previdenziali e fiscali alla facoltà di esser designati tutori o curatori del convivente e prendere decisioni in caso di sua incapacità fisica o mentale.

La legge non sancisce l’obbligo di fedeltà e purtroppo non viene stabilito il diritto all’adozione del figlio del partner. Infatti la Stepchild Adoption (trattata da alcuni trogloditi come la peggiore delle calamità) è stata stralciata dal disegno di legge Cirinnà, che originariamente la includeva, e ci sarà bisogno di tempo e battaglie perché anche una legge ad hoc sulle adozioni veda la luce, includendo e sviluppando al meglio un tema tanto importante e delicato.

E mentre facciamo, in ritardo, un bel passo avanti nel mondo moderno e civile c’è subito qualcuno pronto a farci ri-sprofondare nel buio e bigotto Medioevo. Il solito Matteo Salvini chiede ai sindaci leghisti di opporsi alla celebrazioni di unioni omosessuali, dicendo che hanno diritto a farlo e dicendo ciò commette il solito errore da buffone politicamente impreparato. I sindaci, infatti, giurano sulla Costituzione e sono tenuti ad applicarne le leggi, tutte. Anche quelle che a loro non piacciono. Altrimenti violerebbero il loro mandato e commetterebbero un reato.

La Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo aveva condannato l’Italia lo scorso anno per violazione dei diritti umani, per il non riconoscimento delle coppie omosessuali e per la mancanza di protezione legale alle coppie dello stesso sesso nell’ambito di relazioni stabili. Finalmente siamo emersi da questo torpore omofobo, ma la lotta non finisce mai contro chi ha a cuore solo l’odio e la negazione dei diritti. Si sta infatti compattando un fronte di centro destra, pronto a creare un referendum per abrogare la neonata legge. Al momento è stato presentato un comitato per l’abrogazione di cui sembrerebbero far parte la Lega, Forza Italia, Conservatori e Riformisti e qualche alfaniano. I soliti personaggi che incespicano in battute poco divertenti che ci ricordano come nasce un bambino o si riempiono la bocca di gender e antigender….insomma il solito vuoto intellettivo!