Libertà di fallire.

Notte insonne. Notte pensierosa. Notte riflessiva. Notte di scrittura. Ispirata dalle parole e dalla loro potenza emotiva rivendico la libertà di fallire!
Ho riflettuto a lungo sulla facilità e stupidità con cui si usano le parole (specialmente contro gli altri), quelle che magari feriscono. Parole tipo successo e fallimento.
Pensiamo alla parola “fallito.” Che enorme differenza c’è tra aver fallito ed essere un fallito!
Gli ausiliari fanno veramente un lavoro imponente e verbi diversi ci regalano emozioni diverse. Come? Se io ho fallito un esame, ad esempio, posso sentirmi in colpa per essermi preparato male, ma c’è modo di recuperare perché il senso di colpa ci offre sempre vie d’uscita per rimediare. Ma se qualcuno mi dice che sono un fallito le cose si complicano, perché il dito viene puntato su tutta la mia persona e non su un singolo evento andato storto. Essere un fallito ci mette a disagio, ci offende nel profondo del nostro essere, ci fa sperimentare la vergogna. E, sebbene lo faccia a gradazioni diversi, l’esperienza della vergogna ci mortifica, pietrifica…l’unica reazione che si manifesta, magari non sempre fuori, ma interiormente si (tutto dipende sempre dal nostro livello di narcisismo!) è quella di farci sempre più piccoli, ripiegandoci su noi stessi fino a scomparire alla vista degli altri. In assoluto la peggiore delle emozioni da provare, anche se siamo persone consapevoli che stanno portando avanti il lungo e tortuoso percorso di conoscenza interiore.

Ci sono intere culture che si basano sulla vergogna come ad esempio il Giappone. Se un giapponese sbaglia, che sia sul lavoro come nella vita quotidiana, ne paga le conseguenze in prima persona. Con le dimissioni, con la fuga o col suicidio. L’ Occidente invece è culturalmente orientato al senso di colpa, anche per impostazione di stampo cattolico. Il dito, di fronte al fallimento, è puntato sul fatto in oggetto e non sull’essere, soggetto dell’azione. La situazione cambia, ma non completamente, di fronte a gravi crimini o alla limitata capacità di intendere e di volere. Di fronte alla colpa si può affermare di aver sbagliato, chiedere scusa e tentare di riparare il danno. In una cultura orientata alla vergogna, l’errore è un’ onta che ci macchia indelebilmente l’animo e non da scampo. Puoi chiedere scusa, puoi comportarti al meglio da lì in poi, ma resti un fallimento tu e non l’azione che hai compiuto.

Quindi se vogliamo rapportarci in modo serio e civile con l’altro dobbiamo sempre tener presente che essere ed avere, oggetto e soggetto, giocano un ruolo fondamentale nel campo delle emozioni e delle reazioni che scatenano.
Poi se vogliamo sviscerare il concetto del fallimento ce sono di cose di cui parlare e da capire che ci dicono tanto su chi sceglie di usare questo termine per definire una persona.
Intanto è chiaro, a tutti, che chi dice all’altro “sei un fallito”, lo fa con uno scopo ben preciso: ferire, deridere, umiliare, denigrare, uccidere psicologicamente, in una volta sola, tutte le istanze psicologiche dell’essere. E ferire gli altri, spesso gratuitamente, è uno sport che piace molto.

Ad esempio, il fatto che io non sia sposata e non abbia figli ha smosso, spesso, nei miei confronti atteggiamenti poco piacevoli e c’è chi ha tentato di ferirmi, dicendo che sono un fallimento di donna. La cosa non mi tange. Sono mie scelte e non mi posso sentire una fallita perché non ho seguito i dettami di una cultura arcaica e maschilista, ma conosco amiche che si sentono a disagio perché i loro matrimoni sono finiti o perché non riescono a fare figli, o perché i loro figli hanno problemi. Se qualcuno si rivolgesse loro così, definendole fallite, la reazione sarebbe ben diversa dalla mia. La loro autostima vacillante si sgretolerebbe sotto il peso della disapprovazione, perché un simile rimprovero sociale le farebbe sentire inadeguate rispetto ad un modello che, malgrado tutto, loro tendono a ricalcare.

Sul piano lavorativo, dopo un brillante corso di studi, una promettente laurea in psicologia e appena ottenuta l’abilitazione ho deciso di cambiare strada, poi di cambiarla ancora e poi ancora…. Ciò fa di me una fallita? Ho fatto fiasco perché non sono arrivata al top della carriera, diventando, che ne so, la psicologa di moda tra i vip? Perché non sono una di quelle che intervistano in tv dopo un fatto di cronaca che coinvolge dei minori? Nessuno mi avrebbe visto, comunque, perché se fossi andata avanti, avrei scelto la ricerca e sarei sepolta da infinito materiale cartaceo in qualche sottoscala, negli umidi scantinati dell’Università di Bologna!
Ho fatto le mie scelte, a volte giuste, spesso sbagliate e se tornassi indietro rifarei tutto allo stesso modo, anche se adesso faccio un lavoro poco considerato e mal retribuito! Ma il mio valore come persona non ha niente a che fare con il lavoro che faccio. Io non sono il mio lavoro. Io sono una personalità complessa, fatta di molte parti (spesso in contraddizione tra di loro!) e il lavoro è solo una delle tante cose che fanno parte della mia vita. È lo strumento che mi permette di portare avanti le cose che contano: i miei affetti, le mie passioni, i miei hobby.

Se qualcuno mi dicesse che sono una fallita per il mio lavoro, perché non sono arrivata da nessuna parte (che poi dov’è che vogliono arrivare tutti non l’ho ancora capito!) prima gli riderei in faccia e poi, conoscendo la mia cattiveria, gli smonterei, pezzo per pezzo, il finto castello dorato della sua vita. Perché se una cosa i miei studi mi hanno lasciato in eredità, è quella di capire le persone in modo molto più rapido e profondo…e, se voglio, so bene quali tasti toccare per colpire ed affondare.
Se una persona mi giudica per dove sono arrivata, a livello lavorativo, e non per quanto io sia brava e faccia bene il mio lavoro, qualunque esso sia, il problema non sta in me, ma in lui. Credere che la felicità, la completezza, il successo siano solo legati alla fama, al grado di importanza di un lavoro rispetto ad un altro su una scala fittizia, e all’essere arrivati in alto, indica solo una pochezza emotiva, un’ incapacità di fondo a capire cosa conti veramente nella vita. E ritenersi superiori agli altri solo perché famosi o per l’ambizione ad esserlo è di una tristezza infinita.
Poi, diciamocela tutta, se fallire il traguardo delle ambizioni lavorative che ci siamo prefissi in un primo momento, fa di noi dei perdenti, allora l’astronauta, la ballerina, la veterinaria, il medico che salva tutti i bambini del mondo, l’inventore, il mago, lo sceriffo (o nel mio caso il sindaco astro-fisico), che albergano in noi dalla fanciullezza, ci faranno sentire eternamente dei buoni a nulla… Sempre se non rientriamo nella piccola percentuale di quelli che, realmente, hanno scelto in età adulta il lavoro indicato quando gli è stato chiesto, a tre anni, “cosa vuoi fare da grande?”

Quando scrivevo di automobilismo mi divertivo, è stato un periodo pieno di soddisfazioni e non perché ero famosa, non perché volevo arrivare al top, ma perché mi era stata offerta la possibilità di scrivere. E io sono felice ogni volta che posso farlo, anche se sto solo scrivendo la lista della spesa su un foglietto di carta! Non sono una fallita perché non sono arrivata a scrivere su Autosprint o sulla Gazzetta. Non sono una fallita perché non sono arrivata a lavorare in F1. Non mi interessava tutto ciò. Seguivo una mia passione e potevo scrivere. Sono stata fortunata a cogliere questa occasione quando si è presentata e sarò eternamente grata a chi mi ha dato fiducia! Ma quando questo lavoro non mi ha più dato gioia ho smesso di farlo, rinunciando all’albo dei giornalisti che era a un passo… Fallita? No. Felice di aver colto i segnali di sofferenza e di essermi indirizzata altrove, al momento giusto. Felice e non solo. Fiera ed orgogliosa di aver scritto di tanti campionati definiti minori, ma che non hanno niente da invidiare al baraccone che per molti è il top. Ho fatto la miglior gavetta che potessi fare, seguendo il campionato più bello del mondo, il Trofeo Cadetti. E devo dire che è stato molto più soddisfacente lavorare in un mensile poco conosciuto, più di nicchia, ma con un bel progetto e una bella intesa collaborativa, che scrivere sul settimanale a tiratura nazionale, grazie al quale il mio nome poteva venir letto da tutti.
E sono grata a questo mio passato automobilistico perché mi ha permesso di conoscere alcune persone che faranno per sempre parte della mia vita.

Questo per me è ciò che conta. Mettere passione in quello che si fa, magari circondata da persone positive. Perché ogni mestiere è prezioso ed è il percorso, che porta ognuno di noi a mettersi in gioco, a fare la differenza. È troppo facile, poi, sentirsi realizzati lavorando in ambienti al top, dove girano tanti soldi e bella vita… Provate a sentirvi al top, facendo un lavoro che non vi piace, o svolgendo la professione dei vostri sogni partendo da zero, senza risorse e dovendo barcamenarvi con le spese, le bollette, le tasse, le crisi… beh, io (al diavolo la modestia!) sono brava in ogni cosa che faccio, perché ci metto impegno e passione, sempre!
Io mi sento arrivata, io sono una persona di successo…io mi guardo allo specchio e mi sorrido. Io mi guardo dentro, oltre lo specchio, attraverso lo specchio, e mi piace quello che trovo. Questo è sentirsi realizzata.
E tu che corri sempre verso l’alto ti sei mai fermato a guardarti dentro?

PS: rimanga tra noi, ma io mi sento anche, estremamente, realizzata quando punzecchio quelli tutta carriera e poca sostanza!