The Russians love their children too

Sting compose la canzone Russian nel 1985. Penso che il testo sia ben noto a chi come me ha vissuto nel periodo della guerra fredda, o almeno l’ultima parte di quello strano periodo. Sting ci parlava dell’isteria che dilagava, del terrore che qualcuno potesse lanciare la bomba nucleare, nel caso degli occidentali la paura che l’Unione Sovietica ci distruggesse. Sting però ci ricordava che siamo tutti uguali, al di là delle ideologie e degli schieramenti politici. Anche i russi amano i loro figli. Non li avrebbero fatti soffrire, così come non lo avremmo fatto noi.

In Europe and America there’s a growing feeling of hysteria
Conditioned to respond to all the threats
In the rhetorical speeches of the Soviets
Mister Krushchev said, “We will bury you”
I don’t subscribe to this point of view
It’d be such an ignorant thing to do
If the Russians love their children too
How can I save my little boy from Oppenheimer’s deadly toy?
There is no monopoly on common sense
On either side of the political fence
We share the same biology, regardless of ideology
Believe me when I say to you
I hope the Russians love their children too

There is no historical precedent
To put the words in the mouth of the president?
There’s no such thing as a winnable war
It’s a lie we don’t believe anymore
Mister Reagan says, “We will protect you”
I don’t subscribe to this point of view
Believe me when I say to you
I hope the Russians love their children too
We share the same biology, regardless of ideology
But what might save us, me and you
Is if the Russians love their children too.

Io ricordo bene Russian. Mi piaceva molto. Tanto che decisi di inserirla nella mia traccia all’esame di terza media. Era il 1986. All’esame orale dovevamo presentare un discorso, a piacere, su tutte le materie, che dovevano essere collegate tra loro da un argomento comune. Bene, il mio filo conduttore era la fine della Seconda Guerra Mondiale, il dopo guerra e la guerra fredda. Decisi così di inserire Russian per la parte di Musica. In realtà avrei solo dovuto analizzare il testo e la melodia, ma alla fine mi ritrovai in piedi davanti ai professori a cantarla. Fu un atto di coraggio visto che l’intonazione non è certo il mio pregio maggiore. In più la mia era una classe in cui si studiava tedesco, quindi anche il mio inglese era molto personale. La cantai comunque. Fiera. Perché ci credevo, Perché quel testo mi rappresentava e la triste e incessante e ossessiva melodia che lo accompagnava era giusta per sottolineare quello che provavo. Ricordo benissimo anche il video in bianco e nero con quel dannato orologio che ticchettando scandiva l’avvicinarsi della fine.
Per chi non lo avesse mai visto potete trovarlo qui: https://www.youtube.com/watch?v=wHylQRVN2Qs

Amavo la canzone ed ero certa che quello che Sting sperava fosse vero. Siamo tutti uguali, Avevamo tutti le stesse paure e nessuno avrebbe mai osato fare del male ai propri figli, né gli occidentali, né i sovietici.
E non avevo dubbi. Anche i russi amavano i loro figli e li avrebbero protetti. Perché ho sempre pensato che quelli che venivano dipinti da tutti come cattivi, fossero in realtà buoni. E lo sapevo perché stavo dalla loro parte. Perché nella Seconda Guerra Mondiale loro erano dalla parte giusta. L’Italia no, per esempio. Ci siamo ritrovati, alla fine, dalla parte giusta per il nostro infinito trasformismo e grazie ai partigiani…
Credevo nella bontà dei sovietici perché ero comunista, cresciuta in una famiglia comunista che mi aveva insegnato a non aver paura dei russi e ad andare oltre la propaganda degli stati.

Intorno a me c’era il terrore. Ricordo i miei coetanei spaventati dalla bomba nucleare russa. Ricordo la maestra delle elementari che ci parlava dei cattivi russi che avrebbero potuto bombardarci e di come dovevamo ripararci sotto i banchi.
Io ero arrabbiata (un’emozione che mi contraddistingue molto ancora adesso) più che terrorizzata. Ero delusa dall’essere umano che trasforma ogni sua scoperta scientifica in un possibile mezzo di distruzione. L’energia nucleare doveva essere, per gli scienziati che l’avevano teorizzata e realizzata, una risorsa, ed invece era diventata un’arma. L’arma letale e definitiva. E ad usarla per primi non furono i cattivi sovietici, ma gli Usa. Perché allora dovevo temere la fredda cattiveria dei russi, quando a dare prova di insensata stronzaggine erano stati proprio gli amichevoli e democratici statunitensi?
Perché questo ci dicevano di fare. Perché ci spronavano costantemente ad aver paura dei russi e delle loro cattive bombe. E ci dicevano che non dovevamo temere le bombe degli americani, quasi fossero state le loro delle buone bombe. C’erano due blocchi e noi eravamo destinati, o forse obbligati, a stare in quello occidentale. Perché gli Usa ci avevano prima bombardato e poi salvato. Perché avendo comunque perso la guerra dovevamo sottostare ai loro diktat e sul nostro territorio avevamo basi Nato. Perché l’Occidente era buono. L’Est cattivo. Punto e basta. Nessuna possibilità di ragionare diversamente. Nessun dubbio. Nessuna possibile altra scelta.

Io non ho mai accettato questa logica. La retorica del buono contro il cattivo mi dava l’orticaria!
Ho sempre guardato la storia nel suo insieme, come un continuum e non a compartimenti stagni. Ogni azione, anche la più scellerata, ha una sua origine e delle conseguenze. E penso che anche oggi bisognerebbe leggere questo stupido e crudele conflitto tra Russia e Ucraina secondo le logiche della causa ed effetto e chiederci come possiamo fermare la guerra, partendo da una semplice domanda: cosa ha portato a questa “invasione”? Quali sono gli antefatti?

L’antefatto sta nella peculiarità della regione del Donbass. La regione, di fatto non si è mai unificata sotto la bandiera dell’Ucraina e si è costituito una sorta di stato all’interno dello stato, in contrapposizione col governo centrale di Kiev. Una forte identità regionale, con il suo importante passato di centro industriale sovietico, la centralità della lingua russa e delle tradizioni russe consolidarono una sorta di patriottismo feudale che portò alla nascita di organizzazioni di matrice separatista. La necessità di indipendenza si amplificò in reazione all’avvicinamento all’Unione Europea. La svolta europeista dell’Ucraina cozzava con la mentalità filo-russa della regione. Di fatto l’Ucraina si presentava divisa in due parti e ciò fu molto evidente nelle elezioni del 2010 dove le popolazioni occidentali votarono in toto l’europeista Julia Tymoshenko e le popolazioni orientali prevalsero, di solo 3,6 punti, riuscendo a far eleggere Viktor Janukovic. Ma l’Ucraina era in sofferenza e con l’economia in crisi ed un paese reale spaccato in due, il malcontento regnava sovrano da entrambe le parti. La situazione esplose nel 2014 con un colpo di stato. Janukovic fu destituito e fuggì. Fu instaurato un governo nazionalista, anti russo. Furono abbattute le statue russe, tra cui quella di Lenin ed eliminati tutti gli orpelli e gli emblemi che riconducevano al passato sovietico, così vennero cancellati anche i riferimenti linguistici russi.

La situazione per le comunità filo-russe si fece sempre più difficile e le autonomie che, in qualche modo, erano state tutelate dai governi precedenti decaddero. L’insegnamento della lingua russa fu fortemente limitato e ostacolato e ci furono episodi di grande e feroce violenza nei confronti di quelle popolazioni, che culminarono nella sanguinosa strage di Odessa, nel maggio del 2014. Un vero e proprio massacro avvenuto nella Casa del Sindacato ad opera di estremisti di destra, nazionalisti e neonazisti filo occidentali, che aggredirono gli impiegati (manifestanti filo-russi contrari al nuovo governo e membri di partiti di estrema sinistra) e incendiarono l’edificio uccidendo nel rogo una quarantina di persone. Coloro che tentarono la fuga furono linciati all’esterno. Furono rinvenuti anche il cadavere di una donna stuprata e una donna incinta strozzata con un cavo del telefono. Il governo ucraino negò l’aggressione e non aprì mai una inchiesta, nonostante le evidenti prove dei fatti.
Poco dopo fu indetto dai separatisti un referendum, che si svolse nonostante il rifiuto del governo centrale. Vinse il si all’indipendenza e nacquero la Repubblica Popolare di Doneck e la Repubblica Popolare di Lugansk. Da questi eventi scaturì la guerra del Donbass che sarebbe dovuta finire con la ratifica del Trattato di Minsk. Un accordo raggiunto nel settembre del 2014 dal Gruppo di contatto Trilaterale sull’Ucraina, composto da rappresentanti di Ucraina, Russia, Repubblica Popolare di Doneck e Repubblica Popolare di Lugansk. Un trattato firmato nella capitale della Bielorussia a cui si arrivò dopo molti colloqui alla presenza dell’ Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, con la mediazione di Angela Merkel e Francois Hollande.
L’accordo sancì il cessate fuoco immediato e lo scambio dei prigionieri e garantì l’impegno da parte dell’Ucraina di dare maggiori poteri alle due regioni. Tuttavia le ostilità non sono mai realmente cessate e quanto ratificato non è stato concretamente rispettato. E abbiamo fatto finta di nulla per anni. Fino ad ora.

Questi fatti insieme alla possibile adesione formale dell’Ucraina all’Unione Europea e quindi, obbligatoriamente, alla Nato, hanno provocato la guerra attuale. Ma tutti questi eventi hanno avuto a loro volta origine da altre azioni che a loro volta sono state conseguenza di altri antefatti… il tutto a perdersi nelle storie alternate di guerre, tregue, paci di cui la storia umana è costellata da sempre.
Bene, conoscere la storia dovrebbe insegnarci molto ed aiutarci, visto che il genere umano è ormai adulto e di esperienze ne ha accumulate fin troppe, a interrompere questi schemi. Ma questa è una grandissima utopia! Lo so! Perché quando si parla di uomini e guerra si parla sempre di popoli che pagano con le loro vite, con la sofferenza e con la miseria le brame di potere e gloria di pochi scellerati che ci sacrificano per rimanere nomi scritti in grassetto nei libri di storia che i posteri leggeranno.

E, infatti, eccoci qua nel 2022, dopo due anni tremendi di pandemia, costretti ad assistere ad un’altra stupida guerra, fatta da uomini stupidi che lottano per stupidi confini. Con la paura di finire nella Terza Guerra Mondiale, con il rinnovato terrore per le bombe nucleari. Con un Europa che si sta dimostrano inadeguata, incapace di assolvere al ruolo fondamentale di mediazione. Un Europa fragile perché non indipendente dalla Nato.

Non fraintendetemi. Non sto dicendo che Putin abbia ragione. Non sto giustificando la sua guerra. Sto solo dicendo che ogni guerra è sbagliata, ma molte guerre sono prevedibili. E questa lo era.
Inoltre, ci sono molte altre guerre tuttora in corso. Guerre di cui sembra non importarci niente perché il focus è tutto su questa guerra, perché ci dicono che questa ci riguarda direttamente e altre no. Sono lontane. In realtà tutte le guerre ci riguardano. Direttamente o indirettamente. Ma volutamente, i media e i politici, non ci parlano di altre guerre perché spesso in quelli scenari è il nostro blocco ad invadere e bombardare. Siamo noi i cattivi, allora meglio fingere che niente accada o nasconderci dietro la maschera di chi esporta democrazia.
Un esempio di conflitti di cui poco si parla è la guerra che da anni sta devastando lo Yemen. Una guerra che i media occidentali ignorano di proposito, perché qua a bombardare ed invadere è stata l’Arabia Saudita con il supporto di Lega Araba, Stati Uniti e Gran Bretagna (e l’opposizione di Iran e Siria).
E da ogni guerra scappano civili che diventano profughi, immigrati. Anche le persone che molti di voi vorrebbero affondare sui barconi. Anche loro scappano da guerre, lager e miseria. Ma loro non ci interessano. Per loro in pochi si mobilitano.

Io sono contraria alla guerra, senza se e senza ma! Non smetterò mai di ripeterlo! E sono turbata dal fatto che la mia nazione abbia deciso di fornire armi all’Ucraina. Perché le guerre vanno fermate e le armi invece le allungano e provocano altri morti. Dobbiamo mediare, dialogare, senza gettare ulteriore benzina sul fuoco, E bisogna anche fermare la retorica del buono e del cattivo. Non esistono se non nella propaganda. La realtà è diversa. Io non sto né con i Russi, né con l’Ucraina, ma una cosa la so: I hope the Russians love their children too.

(immagine di Gerd Altmann)