Tempismo perfetto, direi! Ieri, 19 luglio 2016, a 15 anni dai fatti del G8 a Genova, è stato sospeso (a data da destinarsi) l’esame del Ddl per l’introduzione del reato di tortura nell’ordinamento italiano! Che vogliamo farci, le destre non si smentiscono mai. Lega, Forza Italia e Conservatori e Riformisti si sono messi di traverso, ottenendo questa sospensione. Secondo lor signori il reato di tortura è una punizione per le forze dell’ordine e ne intralcerebbe il lavoro. I poliziotti potrebbero essere esposti a denunce strumentali e ritorsioni! Ma è lo stesso Ministro dell’Interno, Alfano che sembra tirare un sospiro di sollievo: “Molto saggia la decisione del Senato e non perché siamo contrari alla introduzione del reato, ma perché non possono esserci equivoci sull’uso legittimo della forza da parte delle forze di Polizia”. Cosa pretendiamo se all’interno del partito di cui è leader (Nuovo Centro Destra) c’è chi gioisce del rinvio tirando in ballo il terrorismo e la strage di Nizza! Mica si può togliere il diritto all’uso della forza e della tortura in un momento tanto delicato, con il rischio di subire un attentato! Poi molti altri ripetono a pappagallo che non si possono mettere sullo stesso piano le forze dell’ordine e i delinquenti.

I fatti però sono altri e sono gravi!
La Convenzione Onu del 1984 definisce la tortura come qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione. La stessa Convenzione precisa che, ai fini della qualificazione del reato di tortura, l’azione deve essere posta in essere da un pubblico ufficiale o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Inoltre la Convenzione Onu contro la tortura, obbliga gli Stati ad inserire nel proprio diritto penale il reato di tortura. La Convenzione è stata ratificata dal Parlamento Italiano nel 1989. Poi non è successo niente. La norma non è mai stata introdotta. Le conseguenze di questa mancanza sono gravissime, perché costringe a ridurre i casi di tortura a semplici reati di lesioni personali o maltrattamento. Siamo in un vuoto legislativo, in una materia in cui continuiamo a delinquere impunemente.

Succede anche che la Corte Europea dei Diritti Umani condanni l’Italia perché non ha una legislazione atta a punire il reato di tortura e lo faccia decretando che durante il G8 di Genova, l’irruzione alla Diaz, compiuta il 21 luglio 2001, e i fatti che ne seguirono possono essere considerati come reati di tortura!

Parallelamente, se il reato fosse stato introdotto a suo tempo, molti processi avrebbero preso pieghe diverse. Stefano Cucchi, pestato violentemente dopo il suo arresto e non curato all’ospedale, nonostante le sue condizioni lo esigessero; Federico Aldrovandi, morto per asfissia da posizione, con il torace spinto a terra dalle ginocchia dei poliziotti, ammanettato dietro la schiena, e con un trauma cranico facciale; Giuseppe Uva, pestato in caserma “Il collega frapponeva il suo stivale tra il pavimento e la testa di Uva, per evitare che questi si facesse più male urtando contro la superficie dura del pavimento” e misteriosamente morto durante il successivo TSO; Aldo Bianzino, morto in carcere con il corpo pieno di ematomi e costole fratturate e nel suo caso c’è un poliziotto condannato per omissione di soccorso; Francesco Mastrogiovanni, prelevato per un TSO, legato a un letto per più di 90 ore, senza acqua, senza cure, fino alla morte; Riccardo Rasman, disabile psichico morto come Aldrovandi per asfissia posturale, immobilizzato, picchiato e asfissiato da tre poliziotti. Questi sono solo alcuni nomi di persone che hanno pagato caro per l’abuso di potere di chi dovrebbe proteggerci e invece molto spesso ci terrorizza.

Ma oggi la mia mente torna costantemente a Genova, a quello che successe in quei giorni del luglio 2001. All’ultimo momento, per una serie di motivi personali, decisi di non partecipare. Dopo 15 anni sono ancora qua a chiedermi come sarebbe cambiata la mia vita, se avessi visto tutto con i miei occhi. Se fossi stata lì, probabilmente qualche manganellata l’avrei presa anche io e avrei provato quella paura di morire che si legge negli occhi di chi era presente. Dopo Carlo Giuliani, dopo la Diaz e Bolzaneto tutto è cambiato. Oggi ho letto, grazie a Luca Casarini, la Relazione delle Tute Bianche che fu portata di fronte alla Commissione Conoscitiva sui fatti di Genova, datata 6 settembre 2001. Una ricostruzione di come il movimento si preparò ad affrontare il G8, degli incontri che vi furono tra i membri e le istituzioni, di come si formò il Genoa Social Forum e di cosa successe realmente tra le strade di Genova. Una ricostruzione preziosa per poter capire la realtà dei fatti e per sottolineare quanto ancora siano importanti e imprescindibili le motivazioni che spingevano ad essere lì. Voglio riportare qua una parte di questa relazione. Trovo che quanto scritto esponga molto bene anche i sentimenti e le sensazioni di chi come me assisteva da casa alla brutalità a cui erano sottoposte le persone che stavano manifestando per ideali che dopo 15 anni sono ancora più necessari.

A circa tre ore dalla prima carica, gruppi sparsi di dimostranti cercavano ancora di allontanare i carabinieri e proteggere la ritirata del corteo, ancora bloccato tra via Tolemaide e corso Gastaldi. Uno di questi gruppi fu coinvolto in uno scontro in Piazza Alimonda, durante il quale un carabiniere di leva puntò la pistola e sparò in faccia a Carlo Giuliani. Da allora la scena è stata ricostruita istante dopo istante. I filmati mostrano chiaramente come il carabiniere avesse la pistola puntata ben prima che Carlo Giuliani raggiungesse la camionetta e sollevasse quel maledetto estintore. Si vede anche che quindici metri più in là altri carabinieri erano schierati. Ci siamo chiesti mille volte come mai essi non intervennero, non lanciarono lacrimogeni, non cercarono di disperdere lo sparuto gruppo di dimostranti. Non smettiamo di chiederci come mai un carabiniere di leva si trovasse, armato, in una situazione del genere, quando migliaia di poliziotti erano stati sottoposti al famoso addestramento di Ponte Galeria. Non occorre essere un esperto di anti-sommossa o contro-guerriglia per dire che la situazione poteva essere risolta senza sparare in faccia a nessuno.
Sapevamo che a Genova ci saremmo trovati al fianco di una moltitudine di persone, che ci sarebbero state migliaia di poliziotti e agenti e che il contesto era più complesso di quello affrontato in altre situazioni. Sapevamo di andare incontro a molte manganellate; mettevamo in conto di essere esposti a fermi e arresti. Ma nessuno pensava a un massacro: completa assenza di funzionari di piazza con cui parlare, centinaia di lacrimogeni a freddo, cariche con i blindati, uso massiccio di idranti, addirittura il ricorso ad armi da fuoco nonostante le rassicurazioni del Ministro Scajola, il tutto non motivato da alcuna provocazione da parte del corteo e a considerevole distanza dalla zona rossa. Non si potevano nemmeno mettere in conto l’attacco poliziesco a un corteo di 300.000 persone (senza precedenti per questa Repubblica), le modalità dell’irruzione di Sabato notte e le sevizie di Bolzaneto e S.Giuliano.
Certamente mettevamo in conto la paura, ma non quella di morire.

Quante domande su Piazza Alimonda! Quante stranezze hanno costellato la ricostruzione di quei momenti. Quale mano ha orchestrato la regia di quegli attimi o forse dobbiamo credere che tutto avvenne per caso, senza una strategia? La morte di Carlo Giuliani è uno di quegli eventi che divide le persone, la foto di un ragazzo con in mano un estintore rosso provoca reazioni diverse tra chi riesce a guardare oltre i margini del singolo scatto e chi guarda solo dove viene detto di guardare. Io da quel momento non sono più la stessa. Io sono Carlo Giuliani e una parte di me è morta quel giorno.