Siete mai stati a Cuba? Io si, solo tre volte. Perché dico solo tre? Perché, quando in un luogo ti senti a casa, vorresti viverci, vorresti tornarci, vorresti che fosse dietro l’angolo per raggiungerlo con una passeggiata di 10 minuti e non con 10 ore di aereo…e vorresti anche che accettassero richieste di asilo politico. Purtroppo non è così.

Oggi, 13 agosto 2016, Fidel Castro compie 90 anni. Oggi vorrei essere a La Habana a festeggiare il suo compleanno. E qualcuno dirà, nel migliore dei casi, che sono solo una nostalgica comunista che si illude dietro un’utopia, mentre in realtà esalta una dittatura. Bene, ma almeno a Cuba si svolgono normali elezioni, il governo Renzi chi l’ha mai votato?!?!

Fidel, il lider màximo ha 90 anni. E sono stati 90 anni straordinari! Nato in una famiglia benestante, studiò dai gesuiti e frequentò la facoltà di Diritto all’Università de La Habana. Da sempre appassionato di politica, aveva intenzione di dedicarsi pienamente ad essa a partire dal 1952, presentandosi come candidato per il parlamento. I suoi sogni furono però infranti dal generale Fulgencio Batista che, con un colpo di Stato, cancellò le elezioni e la democrazia. Ebbe così inizio la diatriba tra Castro e Batista. Il Castro avvocato denunciò Batista per aver violato la Costituzione, ma la cosa non andò a buon fine. La risposta di Castro fu l’assalto armato alla Caserma Moncada a Santiago, il 26 luglio 1953. Data storica a cui si deve il nome del Movimento del 26 luglio che qualche anno dopo intraprese la rivoluzione cubana. Fidel e il fratello Raùl guidarono 160 ribelli, male armati e poco organizzati. Fu un disastro. Molti morirono durante l’assalto, altri morirono dopo essere stati catturati e torturati. Castro fu arrestato e processato. Si difese da solo. La sua arringa “La storia mi assolverà” è poi diventato un libro, nonché l’ispirazione, il manifesto e il programma del Movimento 26 luglio. Fu condannato a morte. Fortuna per lui, ma soprattutto per Cuba e per chi come me ne abbraccia gli ideali, di lì a poco Batista fu costretto ad abolire la pena di morte. La condanna di Fidel fu trasformata in 15 anni di reclusione nella Isla de la Juventud. Dopo due anni venne, però, rilasciato grazie ad una amnistia per i prigionieri politici. Nel 1955 Fidel andò in esilio tra Stati Uniti e Messico. E fu proprio in Messico che conobbe Ernesto Guevara e lo convinse ad unirsi al Movimento e a partecipare alla sua spedizione. 80 uomini salparono dal Messico, a bordo del Granma, una piccola barca, destinazione Cuba. Arrivati sull’isola, dopo la prima azione, rimasero in 12, si ritirano sulla Sierra Maestra e si riorganizzarono per la guerriglia contro Batista. Fidel, suo fratello Raùl, el “Che” e Camilo Cienfuegos, le quattro colonne portanti di quella che divenne la rivoluzione cubana, riuscirono a convincere la popolazione cubana ad unirsi a loro. Questo risultato fu raggiunto anche grazie ad un’operazione di alfabetizzazione e informazione sui diritti del popolo. I castristi ottennero un successo dopo l’altro, costringendo Batista alla fuga. Il Primo gennaio 1959 i barbudos, vittoriosi, entrarono a La Habana.

Ben presto iniziarono i problemi con gli Stati Uniti che non digerirono le espropriazioni ai danni delle compagnie statunitensi e il conflitto si rafforzò con l’intensificarsi dei rapporti tra Cuba e Unione Sovietica. Negli anni gli Usa hanno più volte cercato di sovvertire il governo di Castro, dall’attacco alla Baia dei Porci del 1961 alla crisi dei missili del 1962, dall’embargo (proclamato nel 1962) ai numerosi attentati della Cia a cui sarebbe scampato Fidel. E’ stato anche realizzato un documentario intitolato “638 metodi per uccidere Castro” prodotto da Channel 4 nel 2006. C’è anche chi sostiene che siano stati veramente 638 i falliti tentativi di uccidere Fidel.
Cuba, è stata vittima di numerosi attentati terroristici, dietro molti dei quali si celano gli anti-castristi di Miami, spesso commissionati, coperti o aiutati dalla Cia. Nell’ottobre del 1976 un aereo della Cubana de Aviaciòn fu fatto esplodere in volo. Ci furono 73 morti, compresa la squadra giovanile di scherma. Tra i colpevoli spunta il nome di Luis Posada Carriles, uomo vicino a Batista, esule cubano, diventato membro della Cia e, come se non bastasse, facente parte dell’operazione Gladio.

Il 4 settembre 1997 un nostro connazionale, Fabio Di Celmo, morì nell’attentato all’hotel Copacabana de La Habana. Una bomba fu piazzata nel bar dell’hotel da Raul Cruz Leon, sempre su ordine del terrorista anticastrista Luis Posada Carriles. Carriles rivendicò l’attentato e ammise i legami con Fbi e Cia. Attualmente vive negli Stati Uniti, protetto dalla Cia, nonostante le richieste di estradizione da parte di Cuba e Venezuela. In quegli anni Cuba si stava rialzando da un periodo difficile grazie al settore turistico. Il 1997 fu un anno terribile: vi fu una catena di attentati il cui scopo era quello di affossare il turismo e assestare un colpo all’economia cubana e al governo castrista. Furono usate cariche esplosive di vario tipo, alcuni attentati avevano solo lo scopo di spaventare, di convincere i turisti a fare rotta su altre mete. Il 12 aprile esplose una bomba nei bagni della discoteca dell’hotel Melia Cohiba. Il 30 aprile le forze speciali riuscirono a disinnescare una bomba ritrovata al 15° piano dello stesso Melia Cohiba. Il 12 luglio altre due bombe furono fatte esplodere, quasi simultaneamente, nella hall dell’hotel Capri e nell’hotel Nacional vicino al centralino, nell’atrio. Al Nacional rimasero ferite quattro persone. Nella notte tra il 18 e il 19 luglio nel tunnel della baia a La Habana fu lanciata una bomba da un auto in corsa. Il 4 agosto ci fu un’esplosione nel Melia Cohiba. Il 4 settembre si susseguirono le esplosioni negli hotel Copacabana, Chateau e Triton e nella famosa Bodeguita del Medio. Il 19 ottobre fu rinvenuta una bomba in un microbus per turisti e il 30 ottobre un ordigno fu ritrovato in un chiosco, all’esterno del terminal 2 dell’aeroporto de La Habana.

Come dimenticare il 1997! Io ero lì! Dal 17 al 31 luglio ero a Cuba. Quell’estate dal 24 luglio al 5 agosto si svolse a La Habana il Festival Mondiale della gioventù e degli studenti (per la pace, la solidarietà antimperialista e l’amicizia tra i popoli). Più di 12.000 partecipanti, 136 nazioni coinvolte. C’erano veramente tanti giovani in giro ed un clima bellissimo, ma c’era anche la consapevolezza di quello che era successo. Non la paura, però. Ricordo tanti controlli, ben fatti e soprattutto spiegati. Una sera, all’entrata di una discoteca, mi chiesero di aprire la borsetta. Il poliziotto mi sembrava imbarazzato nel mettere le mani tra gli oggetti femminili. Avevo con me la macchina fotografica e mi disse che non potevo portarla dentro il locale, perché in uno degli attentati l’ordigno era proprio all’interno di una macchinetta. Gli lasciai la borsa con tutto dentro. E ripresi le mie cose all’uscita. Ricordo i racconti di chi si trovava nei pressi dell’Hotel Capri al momento dell’esplosione. Le grandi vetrate della hall che esplodevano schizzando vetri ovunque. Due anni dopo, nel mio terzo viaggio a Cuba, scelsi di soggiornare proprio al Capri e i racconti, da parte del personale, mi hanno aiutato a capire meglio il clima che si respirava in quei giorni. Non c’erano dubbi sui mandanti e i loro scopi. Tutto era chiaro.

Non ho mai temuto quando ero là. Non so come dirlo, ma mi sentivo al sicuro, protetta. Non ho provato la stessa sensazione quando a Firenze in stazione, un mesetto fa, mi sono trovata davanti due militari con il mitra puntato contro di me. Mi è scappato un “scusate, potete spostarlo, dovrei passare e non vorrei sfiorarlo perché mi mette in ansia avere un’arma puntata addosso senza motivo”. Freddamente mi è stato risposto che erano misure antiterrorismo. Ci stavano proteggendo dai cattivi. No, non mi sono sentita protetta. Non c’è protezione quando manca una reale informazione, quando non si dice la verità su quello che succede. A quei militari non avrei lasciato la mia borsa con le mie cose dentro.

A La Habana ho trovato persone speciali che con forza, determinazione, dignità e gioia di vivere hanno affrontato crisi, problemi, isolamento. Un ritmo di vita giusto. Una curiosità per il mondo e una voglia di raccontarsi unica. Ho vissuto anche la Cuba turistica, ma ho amato soprattutto la Cuba privata. Frequentare i loro locali, le loro spiagge; usare la moneta locale; compare frutta fresca nei mercati cubani; fare l’autostop; improvvisare una festa a Guanabacoa con amici e vicinato e bere rum o benzina, non lo so ancora cosa fosse; dormire a casa di amici cubani; frequentare le case de La Habana Vieja; ciondolare, ma anche ballare sul Malecon; prendere il tragetto per la Regla; perdermi nei vicoli intorno alla stazione; mangiare fresa y chocolate da Coppelia; imparare a cucinare i fagioli neri; giocare a domino sui marciapiedi dell’Habana; farsi insegnare le regole del baseball dai bambini; essere curata da una splendida dottoressa cubana che mi ha parlato della sanità gratuita; aver l’onore di sentirmi raccontare la rivoluzione da chi l’ha fatta; passeggiare nei cortili e tra le aule dell’università; farsi una foto storica tra ragazzi cubani e statunitensi; innamorarsi di una casa in calle 21….

Cuba è un’isola magnifica, abitata da gente stupenda e molto del merito va a Fidel Castro, alla sua rivoluzione. Alfabetizzazione che raggiunge quasi il 100% della popolazione. Scuola obbligatoria fino a 16 anni e gratuita ad ogni livello; materiale scolastico e mensa sono gratuiti, così come gli alloggi per gli universitari. La sanità è gratuita e anche i medicinali sono dispensati dallo Stato gratuitamente e posso confermare personalmente l’altissimo livello delle cure e del personale sanitario.
Cuba è la mia patria mentale. Cuba è l’isola che c’è!