Ci sarà mai libertà per le donne? C’è un sottile filo rosso che unisce le vicende del burkini ai casi di femminicidio….riuscite a vederlo? Io fin troppo bene. Noi donne abbiamo raggiunto una finta parità, riusciamo ad indossare i pantaloni, possiamo lavorare e fare anche carriera (anche se le donne ai vertici vengono pagate meno degli uomini a parità di incarico). Molti uomini hanno veramente fatto tanto per aiutarci, soprattutto tra le mura domestiche, aiutando le loro mogli o compagne nel portare avanti la casa e nell’accudire i figli. Ma ci sono ancora troppe, grandi, enormi lacune.
Noi donne siamo sempre giudicate a partire dal nostro aspetto esteriore che richiamerebbe la nostra moralità: se non ti trucchi sei sciatta e trascurata, ma se ti trucchi sembri una puttana; però se ti copri col velo o con un foulard sei sicuramente obbligata e sottomessa da un integralista islamico (perché non può mai essere una tua scelta, le donne non scelgono, obbediscono, altrimenti sono troie!); se ti vesti scollata o metti la minigonna non ti lamentare se poi ti violentano, è solo colpa tua che ti vesti come una puttana; vai in spiaggia in topless, vuol dire che sei disponibile ad essere molestata e lo stesso vale per costumi considerati troppo ridotti; ti metti il burkini, ti costringono a spogliarti, perché in spiaggia si va in bikini e dobbiamo liberarti dalle imposizioni! E le mute da sub? E le nonne che passeggiano in copricostume a fiori sul bagnasciuga, con i nipotini? E io che sto in spiaggia in t-shirt, pareo lungo annodato a mo’ di gonna, cappello e occhiali da sole perché voglio bene alla mia pelle? Anche in questi casi siamo obbligati a denudarci? Anche in questi casi usate la forza contro il volere delle donne? Oppure è solo un modo per osteggiare le legittime scelte religiose altrui? Quest’estate siamo passate dal “copriti svergognata!” allo “scopriti donna oppressa!” Ovviamente abbiamo il dito puntato contro anche per i nostri comportamenti sociali: troppo espansiva non va bene perché dai l’idea di provarci con tutti; l’intraprendenza e l’indipendenza non sono ben viste in una donna che deve saper cucinare, avere una famiglia tradizionale, fare figli (suo unico scopo nella vita!), pulire e rassettare la casa, dire sempre di si all’uomo che ha sposato e a cui è stata ceduta come un pacco postale dal padre, in un vergognoso rito di passaggio chiamato matrimonio religioso!

Insomma, secondo la cultura dominante, noi donne dobbiamo sottostare a un regolamento non scritto. Dobbiamo essere perennemente in forma. Il nostro lato “b” deve essere disegnato col compasso, il seno dritto e sodo e il ventre piatto anche se abbiamo appena sfornato 4 gemelli! La prova costume non è in estate, ma ogni singolo giorno. Dobbiamo estirpare ogni millimetro quadro di peli dal nostro corpo perché qualcuno ha deciso che le donne non hanno peli e dobbiamo fingere che sia così. Dobbiamo curarci da quella terrificante malattia che è la cellulite con ogni mezzo possibile e inutile! Non dobbiamo essere “cicciottelle”, l’unica concessione è quella di essere “curvy”, ma non troppo! Dobbiamo avere i capelli lunghi. Questo lo dice pure la Bibbia, nelle lettere di san Paolo, Prima Lettera ai Corinzi, parlando del Buon Ordine nelle Assemblee: “[3]Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. [4]Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. [5]Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata. [6]Se dunque una donna non vuol mettersi il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra. [7]L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. [8]E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; [9]né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo.[10]Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli. [11]Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la donna; [12]come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio. [13]Giudicate voi stessi: è conveniente che una donna faccia preghiera a Dio col capo scoperto? [14]Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli,[15]mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere? La chioma le è stata data a guisa di velo. [16]Se poi qualcuno ha il gusto della contestazione, noi non abbiamo questa consuetudine e neanche le Chiese di Dio.” Insomma, puntiamo tanto il dito contro l’Islam, ma abbiamo letto la Bibbia? Scritta male, sconclusionata, ripetitiva e difficile da digerire per molte tematiche contenute, ma è chiaramente scritto che la donna, subordinata all’uomo che a sua volta è subordinato a Dio, deve velarsi il capo, oppure deve avere i capelli lunghi a guisa di velo! Io casco male, sono atea e rasata, faccio l’en plein dei peccati!

Ed eccoci al punto. Le diverse religioni danno indicazioni simili. Le nostre nonne e bisnonne erano ligie ed osservavano i dettami religiosi, tanto che ancora adesso molte vedove anziane osservano il lutto, vestendosi in nero per il resto dei loro giorni. Ricordo che quando da piccola ero costretta ad andare a messa, vedevo le donne in Chiesa con la testa coperta, principalmente da poco più che fazzoletti bianchi e ricamati. Adesso non so come si vada in chiesa, ma quella era la normalità. Ricordo anche che una volta non mi hanno fatto entrare a visitare “da turista” una chiesa perché ero in canotta e gonna troppo corta. E divieti del genere esistono ancora. Pensate alle spose che devono avere il velo e braccia e spalle coperte, durante il rito religioso, anche se poi qualche prete sorvola…
Le donne occidentali si sono in qualche modo smarcate da queste tradizioni religiose, ma la rivoluzione non è stata istantanea e non è nemmeno terminata. Siamo passate attraverso la conquista del voto, il femminismo, e tanti piccoli passi che devono essere confermati e condivisi, giorno dopo giorno. Lo stesso burkini è per le donne arabe una tappa di un loro percorso. Nasce infatti in Australia, per poter assumere bagnine musulmane anche tra le islamiche osservanti. Il capo fu disegnato da Aheda Zanetti una decina di anni fa e fu un passo importante che serviva a convincere la comunità islamica che nuotare, anche insieme agli uomini, non era peccato. Si, perché altrimenti uomini e donne farebbero il bagno in luoghi diversi, separati. Così le donne indossando un indumento più comodo, senza bisogno di esporre il corpo nudo, potevano andare in spiaggia con tutta la famiglia e anche lavorare. La stilista ha più volte sottolineato come la sua clientela non fosse solo composta da donne islamiche, ma da chi vuole andare in spiaggia senza il problema di dover apparire! Tra le sue clienti ci sono donne in sovrappeso, donne con ustioni sul corpo o vistose cicatrici, ma anche giovani donne che non vogliono esporre il loro corpo ai violenti raggi solari.

Il burkini fra l’altro viola di per sé la morale islamica più integralista che l’Occidente vuole osteggiare. E’ un capo che prevede dei pantaloni abbastanza aderenti e quando si bagna il corpo è praticamente fasciato e quindi mostrato. Pantaloni e aderenze non sono consentite. Detto questo pare ovvio che il burkini, quando non è una scelta femminile individuale, apra la strada ad un tentativo di emancipazione dal rigore islamico. Se è vero che il burkini è imposto perché
vogliamo vietarlo? Lo facciamo veramente per liberare le donne da regole stupide (che poi saranno stupide per la nostra cultura, ma loro la vedono diversamente)? O lo facciamo solo per portare avanti una guerra subdola contro l’Islam, che l’Occidente ha scelto come capro espiatorio e nemico pubblico numero uno? Perché in tutto ciò ad essere discriminate sono solo e sempre le donne. Vietare il burkini non le può aiutare, questo divieto in realtà le isola ancora di più. Impedirebbe loro di frequentare le spiagge, complicando ancora di più l’integrazione e il confronto con le altre culture, con altre donne!

Ma se io, da atea, scegliessi di indossare un burkini in una spiaggia francese sarei obbligata a toglierlo? Dietro a questa banale domanda c’è il bandolo della matassa.
Se chiediamo di togliere un simbolo religioso, allora dobbiamo chiedere anche alla suora di togliersi la sua veste quando va in spiaggia. Chiediamo anche ad un ebreo di togliersi la kippah (a proposito di ebrei: sapete che anche gli ebrei ortodossi hanno spiagge riservate esclusivamente alle donne?) e a un cattolico di togliersi il crocefisso?
Io credo che ognuno di noi debba essere libero di usare il proprio corpo come vuole e di coprirsi con i simboli religiosi che lo rappresentano, ma allo stesso tempo ritengo che i simboli religiosi debbano sparire da altri contesti. Un luogo pubblico, ufficio, scuola, seggio elettorale, deve esprimere libertà di culto e deve essere liberato da simboli di qualsiasi religione per poter accogliere veramente tutti.

Per quanto riguarda la libertà di scelta, molti islamofobi fanno notare che anche le donne che scelgono individualmente di indossare il burqa e il burkini lo farebbero perché fortemente influenzate dall’ambiente culturale in cui sono cresciute. Certo, questo influisce così come per noi influiscono le pubblicità, i canoni di magrezza occidentali e la cultura maschilista e possessiva!
Così vorremmo forzare anche le islamiche a sottostare ai nostri valori! Poi, onestamente, di quali valori stiamo parlando? Di quali costumi emancipatori? L’obbligo di farci la ceretta? Oppure la consuetudine al tacco 12, sempre se il nostro uomo non sfigura in altezza?
Siamo veramente più libere di loro? Chiediamolo a quelle 60 donne, e più, che nei primi 8 mesi di questo 2016 hanno perso la vita per mano degli uomini che dicevano di amarle! Donne che sono state punite perché hanno deciso di chiudere una relazione, in molti casi per le violenze che avevano già subito. Donne che non possono più risponderci. Chiediamolo allora a quella ragazza che, pochi giorni fa, è stata gambizzata dal fratello perché portava la minigonna! Siamo veramente libere? No, se anche le parole che usiamo nascondono pregiudizi: per offendere un uomo lo chiamiamo figlio di puttana, offendendo sua madre e non lui; la donna che ha tanti uomini è sempre troia, ma non esiste un corrispettivo per gli uomini che hanno tante donne; per i casi di femminicidio sentiamo troppo spesso la formula “vittima di un amore criminale”, ma non si tratta certo di amore, caso mai di possesso, di predominio di una cultura maschilista; oppure sempre in questi casi si parla di raptus per far passare il concetto della non intenzionalità.
Anche noi indossiamo un burkini, invisibile agli occhi, ma pesante da portare.