Blue Whale, macabra realtà o fake news? La balena azzurra, funerea sfida ammantata di mistero, si è comunque spiaggiata sui social.

Ci troviamo di fronte all’ultima e definitivamente nociva trovata lanciata sui social: la Blue Whale Challenge. Che sia un fenomeno da contrastare o una fake news diffusa attraverso il copia incolla poco importa, ormai non si parla d’altro.

Il nome della sfida non è stato scelto a caso: la balena azzurra spesso finisce per spiaggiarsi, dopo aver perso l’orientamento, e muore disidratata o per soffocamento, ma molti sostengono che alcuni esemplari scelgano volutamente di arenarsi, come volontà suicida.
La sfida consiste, appunto, in una serie di prove che consentono di concludere il gioco con un premio finale allucinante: la morte. Il gioco accompagna le menti deboli dei partecipanti, che ormai hanno perso il proprio orientamento nel mondo, in una spirale di follia che conduce al suicidio, attraverso alcune prove, guidate da un personaggio definito il “curatore”
Nato sul social Vkontakte, per intenderci il Fb dei paesi dell’Est, sarebbe rimbalzato sul calderone Instagram a suon di hashtag che riportano riferimenti in russo al gioco, attraverso alcune parole chiave che indicherebbero le fasi del gioco. Hashtag utili anche per contattare i curatori che daranno il via alla sfida. Il gioco dura 50 giorni, articolandosi su 50 prove, via via più intense e, una volta iniziato il giocatore non può più ritirarsi dalla sfida minacciato da un sottile gioco di ricatti ad opera del curatore.

Al momento sembrano esserci 150 vittime legate a questa sfida, sebbene molti mettano in discussione l’esistenza stessa del gioco. Le vittime di cui si parla sono realmente legate a questa sfida? Pare che non ci siano indicazioni certe e le inchieste fatte non hanno fatto emergere significativi collegamenti tra i suicidi e la Blue Whale.
In Russia solo in tre casi sembra esserci un reale collegamento tra la morte e il gioco ed è stato arrestato, nel novembre del 2016, uno dei presunti curatori o ideatori del gioco con l’accusa di aver fondato, negli anni, alcuni gruppi, sempre su Vkontakte, che incoraggiavano al suicidio. Gruppi che attiravano un vasto numero di iscritti, ma il cui intento, dichiarato dall’autore, era di fare soldi, attraverso le pubblicità e una azione di marketing. Gruppi simili su Vk ce ne sono tantissimi, ma reali collegamenti con la balena azzurra non ce ne sono, sono pure illazioni.
A diffondere la notizia dell’esistenza della sfida, nel maggio del 2016, fu la Novaya Gazeta russa raccontando che, dalla fine del 2015, nei gruppi chiusi del social Vkontakte dedicati al suicidio, iniziò a diffondersi uno strano gioco che avrebbe portato al suicidio. Il gruppo d’origine viene indicato con il nome “Svegliati alle 4:20.” Altri indicano l’origine del gioco in un vecchio gruppo creato nel 2013 che si chiamava “F57” sigla che ricorre spesso nelle prove del gioco.
La sfida però è stata raccontata in modo sproporzionato e con toni allarmistici sui tabloid britannici che ne hanno ingigantito toni e pericoli, senza una base concreta e reale. Da qua è partita la viralità mediatica e in Italia il panico è stato amplificato, senza reale approfondimento e senza prove concrete, dalle solite Iene…

La triste realtà è che in Russia il numero dei suicidi adolescenziali sembra essere in aumento ed è tre volte più alto della media mondiale (circa 1500 suicidi ogni anno nella fascia di età 15-19 anni). Inoltre continua la tendenza del rope jumping dai palazzi, ragazzi che saltano dai tetti con una corda (da alpinismo e non elastica come si fa con il bungee jumping) legata in vita. Comportamenti a rischio che sono molto in voga in Russia, ma stanno dilagando un po’ ovunque.
Intanto, anche sfidare la morte a suon di selfie è una moda che si sta diffondendo in tutto il mondo. Se la modella russa Viktoria Odintsov è rimasta in bilico sul cornicione di una torre di Dubai, a oltre 300 metri di altezza, sporgendosi indietro, tenuta solo per una mano dal fotografo, molti perfetti coglioni si sono arrampicati su pennacoli, torri, antenne, cornicioni, sfidando altezze senza protezioni, da soli, per scattarsi un selfie estremo. Un’ex ginnasta, sempre russa, ne ha fatta una professione. Angela Nikolau, sale illegalmente sui grattacieli per scattarsi, da sola o aiutata dal fidanzato, quelli che vengono definiti daredevil selfie. Molti emuli di Angela a caccia di selfie pericolosi sono rimasti vittime di questa ennesima moda incosciente. Morti per cadute da altezze proibitive, ma anche casi di ragazzi travolti dai treni, ragazzi che si sfidano a scattarsi selfie sui binari con il treno che sopraggiunge alle loro spalle.

Tornando alla balena azzurra, adesso che se ne parla e tanto, imputando ad ogni suicidio adolescenziale il legame con la Blue Whale, adesso che le presunte regole vengono pubblicizzate ovunque, ci sarà chi vorrà trasformare la probabile bufala in realtà. Il problema nasce nel momento in cui qualcuno vorrà cimentarsi in queste prove, anche se fino ad ora erano magari pura invenzione, e qualcun altro vorrà mettersi nei panni del misterioso curatore, per sfruttare le debolezze di molti giovani frequentatori della rete.
L’effetto Werther, che può provocare suicidi a catena quando le notizie di suicidi vengono ampiamente pubblicizzate dai mezzi di comunicazione, in questi casi può essere ulteriormente amplificato dal manto di mistero, dal fascino del macabro e dalla possibilità di trovare in rete un’elevata quantità di materiale fotografico e informativo a riguardo. Anche se la Blue Whale in realtà non esistesse, il fatto stesso che ormai se ne parli fa sì che il fenomeno sia sotto i nostri occhi e ciò può indurre chiunque a sperimentarlo sulla sua pelle, magari senza arrivare al gesto estremo finale. Immaginiamoci come fragili adolescenti vittime di pressioni e condizionamenti esterni. Immaginiamoci di non sentirci all’altezza, di non essere accettati dal gruppo, di essere grassi in un mondo di corpi perfetti o nerd in un mondo che premia solo chi eccelle nello sport. Immaginiamoci vittime di bullismo o di revenge porn, di sentirci con le spalle al muro, senza via d’uscita…. non è difficile immaginare come sia facile cadere, a questo punto, in una depressione o in altre forme di disagio mentale e come sia altrettanto semplice farsi del male fisico. Quando la società, il sistema, non è più in grado di offrirti niente e non hai più possibilità di scegliere cosa fare o cosa farne della tua vita l’unica scelta che ti resta è decidere come e quando morire.

Molti adolescenti si tagliano, si procurano ferite sul corpo perché solo in quei momenti, mentre si provocano dolore si sentono vivi….e guarda caso la sfida della balena, o la presunta sfida, parte proprio da questi comportamenti autolesionisti e su di essi dipana il suo percorso di morte. La stessa dinamica della sfida mette chi vi partecipa in una posizione di vittima, verosimilmente ricalcando la visione che ha di se stesso, alla mercé di una sconosciuta figura dominante, il curatore che si pone al di sopra, una sorta di autorità assoluta che detta alla balena le fasi del percorso.
Il curatore segue la vittima del gioco, imponendo le regole giornaliere e chiedendo i feedback a dimostrazione del superamento delle prove. Ciò implica il rafforzamento del rapporto di condizionamento e instaura un legame molto intenso di dipendenza tra la vittima e il suo carnefice.
Il percorso in 50 tappe è ideato per costruire un graduale e progressivo distacco dalla realtà e una manipolazione della mente. Il tutto avviane, però, non in un contesto di rapporto esclusivo, ma al cospetto di un pubblico accondiscendente che sta percorrendo lo stesso percorso e con cui la vittima deve confrontarsi.

Sul social Reddit è stato pubblicato un post con l’elenco completo delle prove che è rimbalzato on line e si è diffuso, a voler testimoniare l’esistenza della sfida, ma in realtà non si sa da dove arrivi questa lista. Le regole del gioco, sono ben chiare: per partecipare bisogna essere contattati dal curatore. Per farlo bisogna postare #f57 su alcuni forum o su gruppi social. A questo punto il curatore risponderà consegnando l’elenco delle 50 prove che prevedono in gravità crescente incisioni e automutilazioni, svegliarsi alle 4:20 per sottoporsi alla visione di filmati horror e all’ascolto di musiche e suoni inquietanti, parlare con altre balene, salire su alti palazzi e infine come prova finale e liberatoria saltare giù da un palazzo, filmandosi o facendosi filmare da un’altra balena, per suicidarsi. La prima prova consiste nell’incidere f57 con un rasoio sulla mano e inviare una foto al curatore. A metà percorso il curatore comunicherà la data della morte del giocatore e lui dovrà accettarla. Avvicinandosi all’ultimo giorno le prove si intensificano fino a diventare multiple e la cinquantesima prova chiede di saltare da un edificio alto, incitando il giocatore a prendersi la sua vita. Sembrano prove ben orchestrate per essere solo una bufala, generalmente le fake news sono molto più banali. Potrebbe esserci del vero o qualcuno sta cavalcando ad hoc la situazione.

Comunque sia, gli adolescenti non si suicidano per colpa della balena azzurra. Ammettendo che il gioco esista, questo è solo un veicolo, un mezzo, ma non la causa. Potrebbe dare il coraggio di farlo, ma perché già è nella mente della vittima. Può fare una sorta di lavaggio del cervello, ma la vittima era comunque iscritta ad un gruppo inneggiante al suicidio, quindi già propensa a soppesarne la possibilità. La causa, i motivi per cui un adolescente (e non solo) decide di togliersi la vita sono altri, molto complessi e difficili da analizzare, ma se vogliamo rimanere nel contesto dei mezzi di comunicazione usciamo un attimo dai social, e guardiamoci una serie tv: Thirteen Reasons Why, o Tredici (titolo italiano). Tredici episodi, perché tredici sono motivi che anno portato la protagonista, Hannah Baker, al suicidio. Un teen drama che affronta i temi del bullismo e del suicidio, immergendoci e coinvolgendoci, quasi in prima persona, nelle vicende, rese in maniera veramente credibile, attraverso la scelta di personaggi che ricordano persone vere, imperfette, normali e non i soliti adolescenti bellocci e ragazzine filiformi delle serie americane. Una narrazione che ci sbatte in faccia l’impotenza, la difficoltà e anche l’assenza genitoriale; la passività e l’indifferenza scolastica; la debolezza e fragilità adolescenziale esposta a forti esperienze, tanto da non riconoscere più i limiti della violenza. Un percorso che, puntata dopo puntata, ti sfida a superare tabù, incassando pugni nello stomaco. Un percorso che quando si conclude ti lascia un groppo alla gola ed una densa solitudine che fa male. Una serie che tutti i genitori dovrebbero vedere, prima da soli e poi insieme ai propri figli. Se ciò portasse gli adulti a superare le loro paure e a cercare di guardare i figli da una prospettiva che ormai hanno dimenticato e spingesse gli adolescenti a parlare di più con loro, la serie avrebbe già fatto qualcosa di buono.