La colpevolizzazione della vittima consiste nel considerare la vittima di un crimine come, in parte o totalmente, responsabile di quanto le sia accaduto. Un atteggiamento che porta molto spesso le vittime, soprattutto nel caso di violenza sessuale, a ritenersi responsabili di quello che hanno subito. I comportamenti delle vittime sono, infatti, biecamente interpretati, dalla società, come provocatori e quindi la violenza subita è meritata, come se fosse stata cercata e voluta.

Negli ultimi giorni la victim blaming ha colpito un bersaglio famoso, Asia Argento, colpevole, a detta di quelli che ben pensano di aver denunciato con venti anni di ritardo una violenza subita e di averlo fatto, in pratica, quando non aveva più niente da guadagnare dallo scambio sessuale avvenuto quando lei aveva ventuno anni.
Solo a scrivere queste frase mi sono venuti i brividi, oltre ad un conato di vomito e al dubbio di trovarmi realmente nel 2017 e di non essere stata, invece catapultata indietro di molti decenni!

Veniamo ai fatti, nudi e crudi e brutali. Harvey Weinstein, uno degli uomini più potenti del sistema hollywoodiano, produttore cinematografico con un gran fiuto per trovare il film giusto è stato finalmente smascherato. Due inchieste pubblicate lo scorso 6 ottobre sul New York Times e sul New Yorker hanno portato alla luce il volto, nemmeno troppo nascosto, di Weinstein. Accuse di molestie e stupri che sarebbero stati compiuti dal produttore nell’arco di trent’anni. A raccontare episodi spiacevoli e vere e proprie violenze sono state oltre ad Asia Argento, Gwyneth Paltrow, Angelina Jolie, Rose McGowan, Ashley Judd, Lysette Anthony, Léa Seydoux, Judith Godrèche, Cara Delevingne, Kate Beckinsale, Ambra Battilana, Dawn Dunning, Sophie Dix, Rosanna Arquette e Mira Sorvino. L’elenco delle attrici abusate e delle collaboratrici di Weinstein al corrente dei fatti, (che finalmente hanno deciso di parlare), aumenta di giorno in giorno e i particolari diventano sempre più inquietanti.

Lo stesso Weinstein ha ammesso tutto, ed è sparito per farsi curare la sua dipendenza dal sesso in un centro specializzato. Intanto è stato licenziato dal fratello Bob, suo socio nella Weinstein Company (società di produzione fondata dai due dopo aver ceduto la Miramax Films). A seguito di queste accuse, Weinstein è stato anche espulso dall’Academy Award degli Oscar e il presidente francese Emmanuel Macron ha deciso di ritirargli la Legion d’Onore, che gli era stata conferita nel 2012. Infine, la moglie Georgina Chapman ha diramato un comunicato in cui dichiara la sua intenzione di lasciare Harvey e dice di avere il cuore a pezzi per la sofferenza che è stata inflitta alle donne da suo marito.

Ormai è chiaro, erano in molti a sapere ciò che avveniva nell’ufficio e nelle stanze d’albergo tra questo energumeno in accappatoio e le attrici che incontrava con la scusa di copioni da leggere e parti da assegnare. I suoi collaboratori erano perfino complici e si occupavano di preparare gli incontri. Nel 2015 Ambra Battilana chiamò la polizia, denunciando il produttore di molestie. Ovviamente il caso fu messo a tacere con un offerta di risarcimento alla vittima che alla fine non sporse denuncia. Prima di lei le accuse di almeno altre tre donne erano state silenziate da remunerativi accordi privati.

Nel 2013, durante la notte degli Oscar, Seth MacFarlane annunciò la categoria di Migliore attrice non protagonista con quella che sembrava essere solo una innocua battuta: “Congratulazioni, voi cinque non dovete più fingere di essere attratte da Harvey Weinstein”
In realtà, sembra che MacFarlane fosse a conoscenza delle abitudini sessuali di Weinstein, perché informato da Jessica Barth, molestata qualche anno prima dal produttore. Pare che la stessa Gwyneth Paltrow, molestata all’età di ventidue anni, ne avesse parlato all’allora fidanzato Brad Pitt.
Rose McGowan sostiene che anche Matt Damon e Russell Crowe sapessero. Sembra che i due abbiano anche telefonato ad una reporter che nel 2004, a conoscenza delle molestie, cercava di far luce sulla vicenda, per garantire sull’infondatezza delle notizie che oltre al produttore riguardavano anche Fabrizio Lombardo (lo stesso che Asia Argenta accusa di aver organizzato l’incontro privato in cui lei subì la violenza), che dirigeva la filiale italiana della Miramax. Weinstein fece pressioni e l’articolo non fu mai pubblicato.

Courtney Love in una video intervista del 2005 aveva dato un prezioso consiglio alle giovani attrici: ”Se Harvey Weinstein ti invita a una festa privata, non andarci.” Frase che le costò molto per la sua carriera, con l’esclusione dalla case produttrice per cui lavorava all’epoca.

Il produttore britannico Alison Owen ritiene che tutti a Hollywood sapessero, tanto che lui impediva alle sue attrici di avere incontri privati con Weinstein. Lui stesso afferma che non avrebbe mai denunciato uno come Weinstein, perché troppo potente e perché controllava tutti i media. Addirittura alcuni giornalisti che negli anni hanno tentato di portare allo scoperto le molestie, hanno trovato un muro di omertà. Le vittime erano intimorite dalla potenza dell’uomo e i giornalisti stessi hanno subito pressioni. Insomma tutti ne parlavano a denti serrati o facendo battute, ma Weinstein teneva in pugno tutte le sue vittime e le loro carriere.

Il copione era sempre lo stesso, faceva in modo di incontrare in stanze private le attrici. Si presentava mezzo nudo, in accappatoio con la scusa di farsi fare un massaggio, poi il grosso uomo, l’orco, il porco, tirava fuori il peggio di sé, passando alle avances pesanti e riuscendo a costringere le donne, poco più che ragazzine, a fare cose che loro non volevano. Solo alcune sono riuscite a scappare in tempo, molte sono rimaste lì, incapaci di reagire di fronte all’inevitabile. Nessun corteggiamento, solo abuso di potere.
Dopo l’aggressione, e durante, come accade in ogni violenza sessuale, c’è il terrore, la paura, e il carnefice che ti tiene in pugno, agendo sul senso di inadeguatezza e di vergogna che la vittima prova. La violenza sessuale aggredisce il corpo, ma soprattutto infligge colpi tremendi al sé e all’identità della donna, ferita e umiliata anima e corpo. La violenza subita è un trauma a 360 gradi che ti accompagna ogni giorno della tua vita. Lo stupro è prima di tutto una forma di violenza mentale che poco ha a che fare col sesso in senso stretto. Lo stupro è distruzione, è imposizione di un potere corrotto sulla vittima. Dopo la violenza ti senti sporca, inadeguata, debole, pietrificata, sola.

Weinstein è stato capace di insabbiare le sue nefandezze per trentanni, poi appena si è aperto uno spiraglio e sono uscite le prime voci, stavolta più sicure e certe di voler andare in fondo alla vicenda, tutte le altre vittime hanno sentito il bisogno di farsi avanti, di raccontare la propria esperienza, scoprendola così simile e vicina a tutte quelle delle colleghe. Era finalmente arrivato il tempo per potersi liberare dal lungo incubo, forti della solidarietà delle altre, del sentirsi parte di un qualcosa e non da sole ad affrontare il mostro e la platea giudicante.

Per Asia Argento l’incubo non è ancora finito perché, se oltre oceano è quasi unanime la vicinanze con le vittime di Weinstein, qua si è scatenato il più schifoso maschilismo contro di lei. Con arroganza le viene chiesto perché denunciare solo adesso?
Perché? Perché a vent’anni si è ancora troppo fragili per metterci contro un sistema che sicuramente ti schiaccerà, se lo racconti. Perché sei infinitamente piccola, difronte all’uomo più potente di Hollywood che ha agganci politici, controlla tv e giornali, ha forti agganci politici e tanti tanti soldi con cui può spazzare via te, i tuoi sogni e la tua salute mentale. Allora pensi che possa essere meglio dimenticare. Tirare una riga e andare avanti, magari facendo un percorso interiore che vent’anni più tardi, quando ti senti finalmente libera dal giogo del tuo tiranno, ti darà la forza di raccontare e darà la forza ad altre vittime come te, di farlo a loro volta.

Asia in questi giorni è stata violentata un’altra volta da chi le ha vomitato addosso, in Italia, critiche feroci e commenti vergognosi, scritti da troppi uomini e da pessime donne. Lei denuncia uno stupro e i commenti più lievi sono quelli in cui è definita troia. Poca solidarietà femminile e un linciaggio peggiore di quello rivolto al colpevole, di cui si parla poco o niente. La colpa della violenza diventa tua con il classico ribaltamento delle responsabilità. Tu sei stata provocante; tu eri vestita in un certo modo; tu te la sei cercata; tu hai goduto i frutti di questo rapporto; tu l’hai data per una parte in un film; tu sei stata zitta perché consenziente e adesso sputi nel piatto in cui hai mangiato. Il ricatto sessuale passa in secondo piano, nemmeno viene considerato, così come la disparità dei ruoli nella vicenda. Passa il concetto che le donne siano un oggetto accondiscendente. Se non la dai sei una stronza isterica e sei fuori dal mondo del lavoro, se la dai tutto bene, basta che non parli. Se parli sei tu a pagarne le conseguenze.

Tutto quello che si è scatenato dopo il racconto di Asia, contro di lei, è il motivo principale per cui le donne hanno paura di raccontare e denunciare. E spesso, se trovano il coraggio di parlarne con qualcuno, ricevono il consiglio di non denunciare, per non essere messe sotto processo e non finire nel circolo vizioso della violenza verbale a cui la stessa Asia è stata sottoposta. E se lei a quarant’anni è riuscita a reagire con più forza al linciaggio mediatico, magari a venti le reazioni degli altri l’avrebbero distrutta psicologicamente.
L’attrice è stata pesantemente insultata su Libero, che lei ha prontamente e giustamente denunciato, dalla penna dell’editorialista Renato Farina, colui che ha ammesso di aver collaborato, in passato, con i servizi segreti per i quali forniva informazioni e pubblicava notizie false in cambio di denaro, e sfuggito alla radiazione dall’Albo solo perché dimessosi prima della sentenza. Albo a cui è stato comunque riammesso nel 2014. In veste di opinionista, fa la morale ad Asia Argento, titolando “Prima la danno via poi frignano e fingono di pentirsi” e la offende con un lapidario “cedere alle avances del boss per fare carriera è prostituzione non stupro.” Poi ci pensa il solito Vittorio Feltri che difende le parole di Farina e rilancia, sostenendo che l’Argento non si sia ribellata perché più redditizio per lei.

Non pensate che questo succeda solo in certi ambienti. Noi donne siamo vittime ogni giorno, in contesti ben diversi da quello luccicante di Hollywood. Donne oggetto proposte come carne da macello in tv e nelle pubblicità, molestie verbali, palpeggiamenti indesiderati sugli autobus, uomini che ci tengono a metterci al nostro posto, violenze consumate tra le mura domestiche e sui posti di lavoro. Perché molte donne non denunciano? Perché lo fanno dopo tanti anni? Perché le vittime vengono sempre incolpate delle violenze subite e sono loro che devono provare di averle realmente subite, scontrandosi con una cultura che spesso respinge le loro richieste di aiuto etichettandole nel peggiore dei modi.

Donna Karan, amica di Weinstein, e una delle poche persone che lo difende, sostiene che le donne vestendosi in un certo modo se la cercano. Secondo lei è il modo in cui ci vestiamo che suggerisce agli uomini che vogliamo che loro ci stuprino? Detto da una che per vivere disegna vestiti non è una grossa pubblicità al suo lavoro. Il problema, però, è che questo pensiero è largamente condiviso.

Purtroppo la donna che denuncia una violenza deve difendersi come se fosse co-responsabile o addirittura come se avesse inventato tutto. Ci sono tribunali in cui bambine violate sono state giudicate seduttive e quindi provocanti, figuriamoci come può essere giudicata una donna! Spesso i fatti passano in secondo piano e il giudizio viene fatto attraverso una visione stereotipata di stampo moralistico e maschilista. La donna viene colpevolizzata perché indossa minigonne, o top scollati, o trucco pesante; perché esce la sera fino a tardi; perché esce da sola; perché beve; perché flirta; perché durante la presunta violenza non ha gridato; perché non ha reagito; perché comunque mica era legata; perché unica testimone di quanto dice sia avvenuto.

La donna deve ripetere all’infinito i dettagli della violenza subita, nei minimi particolari, nonostante il trauma appena vissuto le impedisca di ricordare tutto esattamente. Ogni sua lacuna, ogni sua incertezza verranno passate al vaglio, e rimescolate, e rilette, e giudicate, e spesso usate contro di lei in sede di processo. Non è lo stupratore a doversi difendere dall’accusa, ma è la vittima che viene giudicata, è lei sotto processo e si trova a dover dimostrare di aver subito la violenza, lottando contro i pregiudizi sessuali, di cui è ancora pregna questa malata società.

Il mondo è cambiato, si è evoluto e anche i comportamenti sessuali delle donne sono mutati dagli anni sessanta ad oggi. La sessualità femminile, il corpo delle donne, l’autodeterminazione, la libertà di scelta. Temi cari al femminismo che ancora oggi devono, però, fare i conti con una cultura patriarcale, maschilista che fa fatica a sradicarsi, sostenuta com’è da madri che educano ancora i figli in modo machista e donne pronte a pugnalare alle spalle altre donne. Gli uomini da soli non sono sempre pronti al cambiamento, dovremmo aiutarli noi ad uscire dalla loro arretratezza mentale, dovremmo essere unite e solidali, ma non lo siamo mai.

La prima reazione della donna abusala è correre sotto la doccia per lavar via il dolore, farlo uscire dai pori della pelle, prima che si impossessi di lei, della sua mente e del suo cuore. Ma le ferite non si eliminano con l’acqua. Serve tempo. Serve la comprensione da parte degli altri. Serve essere ascoltati e non giudicati. Serve tutto l’aiuto possibile per non rimanere in silenzio, in disparte. Servono tutta la solidarietà e l’empatia del mondo. Serve un cambiamento che spinga la donna a parlare, perché certa che nessuno punterà il dito contro di lei. Servono un’educazione sessuale e sentimentale, una cultura basata sul rispetto e sulla libertà e serve anche informazione per come ci si deve muovere se si è vittime di violenza.
Le donne devono sapere che ci sono dei centri antiviolenza in cui possono essere assistite da psicologi ed avvocati e devono sapere che nel caso di violenze sessuali si può ricorrere al gratuito patrocinio legale. Lo Stato si fa carico delle spese legali per sostenere le vittime pagando loro l’avvocato, ma anche periti e consulenti che analizzeranno i referti del pronto soccorso. Bisogna anche informare le vittime che il primo passo da compiere è proprio recarsi in un pronto soccorso, e non solo perché vengano raccolte, quanto prima, le prove fisiche dello stupro subito e farsi refertare. Infatti è molto importante muoversi tempestivamente per escludere la possibilità di aver contratto malattie a trasmissione sessuali ed iniziare una eventuale profilassi. Inoltre, è utile anche per considerare la possibilità di interrompere una probabile gravidanza indesiderata, con la pillola del giorno dopo. Dopo di che verrà fatta la denuncia, corredata dal referto medico, e si aprirà un iter processuale ci auguriamo sempre meno difficile e penoso, per chi deve rivivere in aula le scene della violenza subita. Un percorso che dovrebbe essere, ci auguriamo, senza più colpevolizzazioni e ricco della solidarietà delle donne e degli uomini.

Un’utopia?
Facciamo in modo che diventi la realtà. Perché educare alla diversità, al rispetto delle scelte individuali, al considerare la donna non più come costola dell’uomo (e quindi sua proprietà di cui disporre e abusare) significherebbe anche far diminuire il numero delle violenze, circoscriverle e punirle in modo corretto, liberando le donne dalla schiavitù di colpe che non hanno.