Fuoco cammina con me.

Una delle mie grandi paure è quella del fuoco. Non è certo la sola visto che soffro di claustrofobia, temo le altezze, mi tengo alla larga dai serpenti, non riesco nemmeno a tenere in mano una siringa guardandone l’ago e ho una strana fobia legata agli occhi…

Da piccola ero tormentata, e lo sono stata a lungo, da un incubo ricorrente, dal quale mi svegliavo in preda al panico, immobilizzata, quasi impossibilitata a piangere, con un grido di paura strozzato in gola. Sognavo una mano che stringeva una penna che univa i puntini numerati, tipo il gioco della settimana enigmistica, per ottenere il disegno di una figura che, però, non riuscivo a distinguere. Infatti, quando venivano uniti gli ultimi due punti c’era un bagliore, tipo flash della macchina fotografica e io mi svegliavo terrorizzata.

Questi sogni erano iniziati quando avevo all’incirca 4 anni, poco dopo un episodio particolare. Eravamo al mare, in Versilia. Era sera e io e mia mamma stavamo andando (o forse tornando, non ricordo bene) alle giostre. Io ero un po’ uggiosa quel giorno e dopo aver criticato le scarpe scelte da mia mamma per uscire le avevo detto che con quelle zeppe poteva farsi male. Una volta fuori iniziai a far capricci e non ne volevo sapere di camminare, così lei mi prese in braccio. Camminando al buio non vide una buca sul marciapiede e non potè evitarla. Mia mamma cadde e io con lei. Si ruppe una gamba in diversi punti. Rottura che la immobilizzò a lungo.

Per anni ho ignorato cosa ci fosse dietro quel brutto sogno, ma ai tempi degli studi di psicologia ho affrontato il tema e approfondito quell’incubo. Non era un flash quello che vedevo, ma un rogo, un incendio, era fuoco. Era il fuoco che divorava la vettura di F1 di Niki Lauda al Nurburgring e si stava portando via anche il pilota.
Successe il giorno dopo l’incidente di mia mamma e io vidi le immagini in ospedale, a Viareggio, seduta sul suo letto. Probabilmente associai i due eventi al mio senso di colpa. Mi ritenevo colpevole di quanto era successo a mia madre. Io le avevo detto che sarebbe caduta per le scarpe troppo alte e nonostante questo avevo preteso di esser presa in braccio. Era caduta per colpa mia e dei miei capricci.

Da allora, senza sapere che quel sogno conteneva il fuoco io ne ho sempre avuto paura. Ho sempre avuto timore di avvicinarmi al fuoco, anche quello scoppiettante in un camino o la piccola fiammella di una candela. Odiavo profondamente anche il dover spegnere le candeline sulla torta di compleanno!

Poi una notte ti svegli di botto e il fuoco si sta portando via le tue sicurezze. Ore 3:00. Scoppi di fanali e pneumatici. Colonna di fumo e fuoco arancione. Sirene dei pompieri. Domande dei carabinieri. Incendio doloso. Alcuni dicono “è solo un’auto, un oggetto.” Altri aggiungono “ciò che conta è che voi stiate bene.” Vero. Peccato che non sia così. Bene non stiamo. Bene non sto. È doloso. Chi può essere stato? Perché? Chi ci odia così tanto? È finita qua? È un avvertimento? Ci faranno del male? Devo temere? Io ho paura.

Una notte di fuoco sta logorando la mia mente. Nella mia testa illazioni, domande, ipotesi, piste… tutto si intreccia alla rinfusa a ipotetiche motivazioni, a ricordi, a presunti dissapori. E se la solidarietà di alcuni ti sorprende piacevolmente regalandoti quell’abbraccio che ti serve e ti cura, a pesare è l’assenza di altri, la mancanza di empatia e di reale comprensione e vicinanza che ti aspetteresti e, soprattutto ti meriteresti!
Così distinguibili la selva di conoscenti e amici tra chi chiede della macchina e chi chiede come stai; tra chi dice che parli e scrivi troppo quasi a giustificare i fatti e chi ti chiede se hai bisogno di un aiuto.

Posso essere ruvida, stronza, scomoda, poco allineata, diversa per mie scelte sociali, politiche o etiche, ma sono una brava persona e non mi merito ciò che mi hanno fatto e ciò che sto passando. Non merito di sentirmi in colpa. Non è giusto che spalleggiate i colpevoli con un “te lo sei cercato.”
Non ho più 4 anni. Non voglio sognare più quel fuoco, voglio smettere di aver paura e lo farò anche circondandomi di persone che apriranno le loro braccia per accogliermi, evitando chi invece sparge parole avvelenate sul fuoco, accuse come pugnali in una ferita che farà fatica a rimarginarsi.

Intanto io cammino, cammino e cammino. Sono 10 giorni che non faccio altro. In questo momento il mio antidoto al fuoco è camminare, ma ho bisogno di tempo per metabolizzare e intanto il fuoco cammina con me…