Cosa c’è di etico nell’attaccare i vegani, diffondendo banali superficialità?

Lo scorso 18 settembre ha visto la luce un nuovo sito internet di cui non faccio il nome, perché di visibilità ne ha avuta fin troppa. Il sito si propone come target i millenial e usa un linguaggio consono ad un pubblico giovane e digitale, con il fine dichiarato di accrescere lo spirito critico del proprio pubblico, in un contesto mediatico sfuggente e superficiale. Il lancio del sito è andato alla grande, grazie ad un articolo scritto ad hoc, contro uno dei mali del secolo: i vegani. Noi vegani, rei di millantare un’etica superiore al resto dell’umanità.

L’autore dell’articolo, però, ci avrebbe smascherati, colti con le mani nella marmellata, o nel sangue, come direbbe lui. Il tutto sbattendo nero su bianco, con una disarmante superficialità, una serie di argomentazioni prive di un reale fondamento, partendo da un concetto base che poteva essere condivisibile e da cui poteva nascere una riflessione molto interessante: industria alimentare ed etica.

La crescente richiesta di alcuni alimenti ha portato ad un aumento della produzione che si è trasformata in sfruttamento delle risorse naturali ed umane. Le multinazionali agiscono così da sempre, per tenere costi bassi e mettere in commercio prodotti di largo consumo a prezzi abbordabili, per il pubblico più vasto. La colpa di tutto ciò, per il nostro scrittore, non è da imputare ad una sfrenata globalizzazione che ingrassa le casse delle multinazionali e ad una mancanza di leggi (o della loro concreta attuazione) che rispettino i lavoratori e l’ambiente (se l’articolo avesse preso questa piega sarebbe stato un sogno!), ma è dei vegani che consumerebbero quotidianamente alcuni alimenti particolari, ingurgitandone sempre più e chiedendone ancora, e ancora, e ancora.

Quinoa, avocado, mandorle, anacardi e tofu sono i cibi incriminati. Produrre questi alimenti non è né etico, né sostenibile e leggendo l’articolo sembra chiaro che il loro aumento di richiesta, e quindi di produzione, sia dovuto al crescente numero di vegani nel mondo e alla progressiva domanda di questi cibi, per infarcire i piatti di questi snob dell’alimentazione.
Sembra quasi che nel mondo solo i vegani consumino questi cibi. Ma le cose stanno realmente così?
Ovviamente no. L’industria alimentare ha iniziato ad usare questi ingredienti anche per produrre cibi indirizzati ad una clientela vegana e circolano molte ricette che li contengono, ma l’aumento di produzione è determinato da molti altri fattori. Vorrei ricordare, infatti, all’autore dell’articolo e a quella massa di persone che lo hanno condiviso, che questi cinque alimenti sono molto diffusi e non solo perché sporadicamente li consumano i vegani.

Io che sono vegetariana da ventuno anni e vegana da due, avrò mangiato due o tre volte la quinoa nella mia vita, una delle quali in una zuppa preparata da amici onnivori che la mangiano spesso. In realtà la quinoa è un alimento di moda (che ha preso il posto del kamut nei gusti di chi segue i trend alimentari), consumato un po’ da tutti, che ha iniziato a diffondersi su larga scala con l’aumento dei casi di celiachia. La quinoa è infatti un non cereale, che ha, però, un ottimo apporto a livello di carboidrati e di proteine, pur non avendo glutine, per cui è entrato, a tutti gli effetti, nelle diete delle persone affette da celiachia.

Per quanto riguarda l’avocado, da onnivora mangiavo tonnellate di guacamole, preparazione largamente diffusa nei fast food tex-mex di tutto il mondo. Da quando ho scelto il percorso veg, mi è capitato di comprare avocado circa un mese fa, dopo almeno vent’anni, ed era rigorosamente bio, prodotto in Sicilia. L’avocado, a dire il vero, sta vivendo uno sfavillante momento grazie al dilagare dei ristoranti giapponesi, essendo uno degli ingredienti basilari di varie preparazioni tra cui il sushi.

Ho sempre bevuto latte di mandorle (anche quando ero onnivora) e sul mercato, in effetti, se ne trova di più, rispetto al passato, come alternativa vegetale al latte vaccino sia per le esigenze vegane, sia per gli intolleranti. Ma la produzione di mandorle è notevolmente aumentata perché sono diventate lo spezza fame di elezione per i runner e per chi va in palestra, sportivi che ne hanno sempre un sacchettino nelle loro sacche. Mandorle che, non dimentichiamolo, sono sempre state usate nella produzione dolciaria italiana: pasta di mandorle, marzapane, confetti, decorazione per mandorlati e per colombe pasquali.

Il discorso sugli anacardi è molto interessante e ha il sapore del primo ristorante cinese in cui ho mangiato negli anni ’80. Pollo con anacardi (e c’era anche la versione con le mandorle). Ne ho mangiato tantissimo da onnivora. Anacardi, buonissimi nei mix di frutta secca spizzicati agli aperitivi e non certo inseriti nelle ciotole per colpa dei vegani. Negli ultimi anni gli anacardi vengono lavorati diversamente e diventano anche ingrediente base di burro e simil-formaggi. Burro di anacardi che è molto usato ad esempio nella dieta a zona e non solo in quella vegana.

E poi il tofu, e, quindi, la soia. Coltivazioni sterminate di questo legume che per più del 75%, della produzione mondiale, è destinato a diventare mangime per il bestiame negli allevamenti. E la soia è usata come eccipiente in una infinità di prodotti di largo consumo, spesso sotto forma di lecitina di soia. E’ presente in quasi tutti i prodotti da forno confezionati perché ne aumenta la friabilità; nei gelati per dare volume e renderli soffici; come emulsionante in snack e dolci; aggiunto ai ripieni di tortelli e ravioli o come eccipiente in hamburger riuscendo a legare nell’impasto acqua e grasso. La lecitina di soia usata negli alimenti confezionati è spesso proveniente da coltivazioni geneticamente modificate, quindi, magari, sarebbe meglio stare attenti a questo tipo di utilizzo e consumo, piuttosto che ad altri. Ma molti onnivori nemmeno sanno che la soia è tanto utilizzata nella grande distribuzione.
E ignorano anche che più della metà dei raccolti agricoli di tutto il mondo vengono utilizzati per l’alimentazione del bestiame degli allevamenti. Risorse che potrebbero sfamare egregiamente tutte le popolazioni, molto di più di quanto riescano a farlo le carni prodotte in questo modo.

Devo aggiungere altro? Forse bisognerebbe chiedere al nostro caro autore perché ha scelto di parlare proprio di questi cibi. Non sono certo gli unici alimenti le cui produzioni causano sofferenza. Sono stati scelti per superficialità e pressappochismo, nella errata convinzione che siano solamente associabili ai vegani. Bastava informarsi meglio per capire che così non è. Ma servivano facili e veloci like per farsi pubblicità e sapeva bene che parlare male dei vegani, sottolineando che non sono migliori degli onnivori, era la strada più rapida per raggiungere visibilità. E così è stato.

Se avesse voluto affrontare seriamente il problema dello sfruttamento dei lavoratori, del disboscamento, del surriscaldamento globale, dell’inquinamento e prosciugamento delle risorse idriche avrebbero potuto parlare anche di olio di palma, banane, cacao, cotone, zucchero, caffè e, perché no, rimanendo in casa nostra, di arance e pomodori. Ma questi sono prodotti che consumiamo tutti, fregandocene delle sofferenze che derivano da queste produzioni. All’autore dell’articolo non interessa minimamente dell’ambiente e delle condizioni di lavoro, a lui interessa solo che il suo articolo venga condiviso. Altrimenti avrebbe speso parole anche sulla deforestazione amazzonica, causata dagli allevatori, per avere sempre più spazio per il bestiame, a discapito di un intero ecosistema e dell’aria che respiriamo.

Perché non parlare anche di abbigliamento etico e di come l’industria della moda se ne infischia; oppure di tecnologia etica e di quanto siano sfruttare materie prime e capitale umano in questo settore tanto osannato; o di prodotti per la salute e la cura del corpo che per renderci sani e belli sporcano ed inquinano il pianeta? Perché sbraitare tanto per i 500 litri di acqua necessari per produrre un chilo di avocado e non spendere nemmeno una parola per i 15000 litri necessari a produrre un chilo di carne?
L’autore non si preoccupa di come è stato sfruttato l’operaio che ha assemblato il suo I-phone o di quanto possano sanguinare le manine infantili di chi ha cucito le sue sneakers. Non c’è interesse per le distorte regole di mercato e per come tutto sia concesso alle multinazionali del cibo, che aggrediscono, depauperano a loro piacimento ovunque si muovano, tra le larghe maglie della globalizzazione delle merci e del libero mercato.

Qualunquismo. Disinformazione. Solo questo? No, c’è anche una certa ossessione di alcuni onnivori verso i vegani. Astio per chi ha fatto un percorso diverso, che prevede tanta attenzione verso i cibi e la loro provenienza. Il vegano è colui che legge ogni etichetta e conosce ogni sigla tra gli ingredienti, che tenta di comprare locale ed equo-solidale. Perché essere vegani non vuol dire abbuffarsi di questi particolari cinque alimenti. Essere vegani è un percorso di consapevolezza, una ricerca continua per essere migliori, non migliori rispetto ad altri, ma migliori rispetto a se stessi.
“Voi vegani non siete migliori di noi.” Questo è lo slogan gridato tra le righe (e neanche troppo celato) dell’articolo; questo è ciò che viene sottolineato in ogni condivisione fatta sui social.

Forse la mia scelta non sarà etica al 100%, purtroppo dove vige la globalizzazione non può esserci etica, né in una dieta onnivora, né in una dieta vegana. Tutte le coltivazioni intensive portano a problematiche simili a quelle descritte per i famigerati cinque alimenti “cattivi.” È il sistema politico-economico che reca in se il germe dello sfruttamento, mentre sta all’utilizzatore finale capire e cercare di cambiar le cose. Per me è importante nuocere meno possibile e avere un impatto sull’ambiente più vicino possibile allo zero.
Siamo spesso accusati, come in questo caso, di mettere in primo piano la salute degli animali rispetto a quella degli uomini. Niente di più falso può essere detto nei confronti di chi sceglie la vita e lotta perché l’esistenza di ogni essere vivente abbia il rispetto che merita. La mia scelta ha come obiettivo il benessere, ma non il mio egoistico piacere personale, bensì il benessere collettivo, che include ogni essere senziente e l’ambiente in cui tutti possiamo vivere in armonia.

Da anni boicotto aziende che sfruttano il lavoro minorile, ad esempio quelle che realizzano abbigliamento e accessori sportivi, senza fare nomi, e multinazionali del settore alimentare che sfruttano ambiente e mano d’opera, come alcuni bibitari e colossi della produzione di latte condensato. Il mio atteggiamento rispetto ai consumi è sempre stato attento a certi valori etici e lo è ancora di più da quando sono vegana, ma quelli che adesso ci puntano il dito contro, quanto sono consapevoli di cosa mettono nel piatto? Quanto sanno della sofferenza che provocano i loro cibi? A loro interessa veramente l’impatto che hanno sull’ambiente con le scelte che effettuano o vogliono solo pulirsi la coscienza, scaricando su di noi le loro colpe e proiettando su di noi le loro ignoranze?