Il mio Manifesto Vegano.

Sono vegana. Ormai lo sapete. L’ho scritto in ogni salsa. La cosa ha fatto, in un certo senso, il vuoto intorno a me. Quando sei considerato “diverso” per le tue scelte, che siano sessuali, religiose o alimentari, molta gente piano piano si dilegua. Per paura; per ignoranza; per incapacità di accogliere le novità; perché quando non si è realmente amici ogni occasione è buona per tirarsi indietro!

Poco importa, io vado avanti per la mia strada, senza inutili zavorre e continuo a parlare e a scrivere delle cose che mi stanno a cuore.

Sul blog ho già affrontato i vari perché della mia scelta alimentare “Vegana per vocazione e non per moda”; ho già scritto del mio amore per gli animali “Amo gli animali più degli umani” ; ho già analizzato ciò che succede negli allevamenti di animali da latte e spiegato perché dico no anche a latte e latticini “Bevete più latte! Il latte fa bene!…o forse no…”

Visto che il blog sta diventando a tutti gli effetti il mio personale manifesto vegano è giunto il tempo di sprecare qualche parola su uova, pesce, miele, cuoio, pelle, seta, lana e piume.

Perché dico no alle uova?

Perché galline ovaiole e pulcini maschi, nel ciclo di produzione delle uova, vengono uccisi. Le galline libere di condurre una vita normale possono raggiungere i 15 anni. Negli allevamenti intensivi, quando non sono più produttive, ma ancora in giovane età (2 anni circa) vengono uccise per utilizzare la loro carne in prodotti di seconda scelta o per farne mangimi. Viver più a lungo è praticamente impossibile perché sono colpite da cancro alle ovaie a causa del ritmo produttivo innaturale a cui sono sottoposte. Per quanto riguarda i pulcini, alla nascita vengono separati i maschi dalle femmine. Mentre queste ultime saranno indirizzate alla produzione delle uova, i maschi sono considerati scarti perché non adatti alla produzione della carne (per quella si usa la specie Broiler selezionata appositamente per ingrassare velocemente) e o vengono triturati per farne mangime, o soffocati col gas. o lasciati morire nell’indifferenza, ammassati uno sull’altro. Appena nati i pulcini femmina dovranno subire la mutilazione del becco per evitare le ferite inflitte dalle beccate, date tra animali come reazioni da stress dovuto al sovraffollamento delle gabbie. Negli allevamenti intensivi le gabbie sono ammassate una sull’altra anche fino a sei piani di altezza. Lo spazio vitale di ogni animale e la sua capacità di movimento sono estremamente ridotti. L’immobilità imposta atrofizza le loro ali e sono esposte a cicli di luce artificiale per incrementare la produzione. Anche negli allevamenti a terra la situazione non è idilliaca e le galline vivono stipate in capannoni con le zampe tuffate nei loro escrementi. Per quanto riguarda gli allevamenti all’aperto alle galline è concessa l’uscita per alcune ore al giorno, ma non in tutte le stagioni. Il resto del tempo lo trascorrono nella stessa condizione degli allevamenti a terra. Migliora leggermente la situazione negli allevamenti biologici. Le galline possono uscire all’aperto e vengono alimentate con mangimi principalmente biologici.

Le ragioni del no al pesce.

Il pesce è carne; il pesce è un animale; il pesce che finisce sulle nostre tavole ha subito atroci sofferenze. La morte dei pesci avviene per soffocamento e non dobbiamo pensare che sia indolore solo perché avviene nel silenzio. Molti li considerano animali di secondo piano, con un sistema nervoso meno sviluppato e per questo sacrificabili. Inoltre vivendo in un habitat lontano dal nostro non siamo direttamente esposti alle loro vite. In realtà sono animali intelligenti, hanno coscienza del loro corpo, costruiscono nidi, sono capaci di sviluppare coesione di gruppo e sono collaborativi all’interno di esso e sono dotati di memoria a lungo termine.

La pesca moderna sta distruggendo i mari e con essi l’intero ecosistema della Terra. I pescherecci tirano su, con le loro enormi reti, qualsiasi cosa dai fondali. Oltre ai pesci e al devastare i fondi corallini, restano imprigionati nelle reti tartarughe, delfini, foche…. animali che non interessano all’industria alimentare e vengono lasciati morire o rigettati in mare feriti. Dove la pesca non è più sufficiente vengono creati degli allevamenti fluttuanti per far crescere in cattività i pesci. Allevamenti ittici che rappresentano più un problema che una soluzione. Oltre ad inquinare le acque con le grosse quantità di liquami prodotti, occupano grosse aree costiere e servono notevoli quantità di acqua dolce per gestire il sistema. Per non parlare della qualità dei mangimi addizionati dai farmaci con cui vengono nutriti i pesci!

Siamo poi così sicuri che mangiare pesce ci faccia bene? Contengono sostanze utili al nostro organismo, come gli acidi grassi omega-3, ma possiamo trovare questi nutrienti anche nei cibi vegetali (ad esempio nelle noci e nell’olio di lino, nei vegetali a foglia verde oltre che nella soia e nei suoi derivati e naturalmente nelle alghe). Il pesce però contiene anche grassi saturi e colesterolo. Il problema maggiore riguarda, comunque, l’alto contenuto di sostanze tossiche che inquinano il pesce, soprattutto mercurio e diossina.

Cosa c’entra il miele?

Il miele c’entra, eccome! Le api hanno un sistema nervoso molto sviluppato e ciò le rende capaci di provare dolore (fatevene una ragione, tutti gli animali soffrono!). Questi animali hanno inoltre un ruolo chiave, con l’impollinazione, nei processi biologici del pianeta. Come gli altri tipi di allevamento anche quello delle api può causare sofferenza e morte. Le api non producono il miele per noi umani, così come le mucche non fanno il latte e le galline non sfornano uova per la nostra alimentazione. Alcuni apicultori ad esempio ricorrono all’inseminazione artificiale dell’ape regina che generalmente viene uccisa ogni due anni e sostituita da una nuova regina, per mantenere alti gli standard di produzione.

Il miele, immagazzinato dalle api nel periodo estivo, viene sottratto dagli alveari e sostituito da sciroppi zuccherini con cui le api devono nutrirsi nel periodo invernale. Inutile sottolineare come questa alternativa loro imposta non sia equivalente a ciò di cui si nutrono in natura. Questo cambio di alimentazione fa spesso insorgere malattie nelle api e ne accorcia la loro vita. Per sopperire a questa condizione lo sciroppo di zucchero è addizionato con farmaci antibiotici. Inoltre per evitare che le api consumino prima dell’inverno il miele immagazzinato si ricorre a metodi barbari per distruggere l’alveare: affumicatura, surriscaldamento, getti d’acqua… Poi a fine inverno la produzione ricomincia con una nuova colonia.

Il miele non è assolutamente necessario nella alimentazione umana, allora perché sottoporre le api a simili trattamenti, sterminandoli dopo un ciclo o due di produzione? Inoltre molti studi indicano che l’uso indiscriminato di pesticidi in agricoltura e i cambiamenti climatici stiano mettendo a serio rischio la loro esistenza così importante per tutti noi! Quindi ribadisco il mio no all’uso del miele e di tutti quei prodotti ricavati dal lavoro delle api: cera d’api, polline, pappa-reale e propoli.

Non mi vesto di cuoio, pelle, pellicce, lana, seta e piume.

Essere vegani significa fare scelte a 360 gradi, non solo per quanto riguarda l’alimentazione. La nostra attenzione va anche a ciò che indossiamo ed evitiamo di acquistare sottoprodotti dell’industria della carne. Se tutti smettessimo di nutrirci di carne cesserebbe anche la produzione di scarpe, borse e tessuti in pelle. Ma se alcune pelli ci arrivano direttamente dagli animali degli allevamenti intensivi del settore alimentare, altre esulano dal mangiare la carne degli animali da cui derivano. Prendiamo ad esempio la pelle di coccodrillo o di serpente: gli animali vengono sbucciati vivi, dopo aver inciso la parte posteriore della testa. Poi gli animali vengono la sciati morire così, scuoiati. E ci sono tante altre specie di animali che vengono cacciate esclusivamente per la loro pelle. Io ho deciso di non indossare ciò che ha causato sofferenza animale. Ci sono ottimi prodotti eco-pelle e tessuti innovativi che possiamo utilizzare.

Anche la produzione della lana, nonostante a possa ritenersi non particolarmente feroce, implica, in realtà sfruttamento e sofferenza per le pecore che finiscono per essere allevate in modo intensivo. Nelle prime settimane di vita le pecore allevate sono sottoposte al taglio della coda e a castrazioni. I tosatori vengono solitamente retribuiti in base alla quantità di lana prodotta e ciò li porta ad eseguire la tosatura nel modo più veloce possibile, senza la benché minima preoccupazione per le condizioni degli animali. Capita anche che le pecore vengano tosate in modo prematuro e siano quindi esposte con la pelle nuda al freddo, provocando loro degli shock termici. Ovviamente, come accade in ogni tipo di allevamento intensivo, se le pecore diventano improduttive vengono macellate. Sono state selezionate razze capaci di produrre quantità di lana maggiori e innaturali. Ciò che rende di più per la produttività crea, però, notevoli problemi alle pecore: peso eccessivo del vello che sfinisce gli animali per il caldo eccessivo e la mole che trasportano; infezioni che si generano sotto il vello, nelle pieghe della pelle, dove si annidano larve di mosche. Per eliminare le larve gli allevatori sono soliti strappale pezzi di pelle alle pecore, ma ciò peggiora spesso la situazione con le mosche che depositano le loro uova sulle ferite aperte, infettandole.

La produzione della seta è agghiacciante. La seta deriva dal bozzolo che il baco crea e al cui interno prepara la sua trasformazione in farfalla. Per ottenere la seta necessaria al settore tessile bisogna impedire che il baco esca dal bozzolo mangiando le sue pareti e quindi rompendo i pregiati fili di cui è composto. Per fare ciò le larve vengono o uccise in forni a microonde o bollite. Ma quanti bachi occorrono ad esempio per fare 100 grammi di seta? Ben 1500. Uno sterminio!

Altra pratica brutale è quella a cui sono sottoposte le oche per ottenere le piume necessarie ad imbottire i nostri piumini, giacche, divani… Le piume sono strappate loro senza anestesia. Le oche prese per il collo e immobilizzate vengono così torturate. Questo iter del terrore inizia quando l’oca ha 8 settimane e viene ripetuto ogni due mesi per circa tre volte. Poi l’oca o viene subito uccisa o alimentata forzatamente per diventare paté de foie gras….. su come poi viene estratto il fegato delle oche bisognerebbe aprire un capitolo a parte!

Il no alle pellicce credo abbia bisogno di poche parole perché, anche solo, il concepire la possibilità di recludere animali, col solo scopo di produrre capi di abbigliamento o accessori inutili, brutti e superati, destinati ad agghindare megere volgari e mal vestite, mi mette i brividi! E ,se poi ci addentriamo nelle condizioni in cui versano gli animali da pelliccia, il quadro si fa ancora più straziante. Visoni, conigli, ermellini, cincillà, volpi, zibellini, scoiattoli….ma anche cani e gatti vengono allevati in condizioni di estrema privazione. Stress, automutilazioni e comportamenti stereotipati, infanticidio, aggressioni e cannibalismo sono la norma in questi allevamenti. Diventeranno lussuosi e costosi cappotti di pelliccia, ma la loro vita si svolge in minuscole gabbiette nella sporcizia e nella puzza…

Vorrei tanto che progresso non significasse solo avere cellulari sempre più tecnologici e auto a guida autonoma, ma che si palesasse anche in un reale cambiamento delle abitudini alimentari e dei costumi sociali, per poterci evolvere in una nuova umanità. Speranze…